venerdì 27 novembre 2015
Esercizi alla ricerca di Bellezza
Giusto in tempo per Natale, è pronto il libretto dei miei nuovi racconti:
dopo Esercizi di Fiducia, ecco Esercizi alla ricerca di Bellezza! L'immagine di copertina è di Mattia Vespi, vincitore in un concorso fotografico indetto in memoria di Lara Gentilesca.Associazione Unica Lara
Cercalo nella mia vetrina di lulu.com, Esercizi alla ricerca di bellezza
Ci sono in particolare due racconti di cui ho già parlato in post precedenti:
la storia di una mamma e il suo piccolo, "Mamma cigno ed il cielo del Madagascar",
e il racconto dell'angelo sulla capanna del presepe, "Lara prova le ali".
buona lettura!
venerdì 6 novembre 2015
Storie di mamme
vi ricordate il post che avevo scritto a luglio, sul creare una fiaba di benvenuto durante l'attesa?
Ecco, le prime tre mamme ci hanno raggiunto in questo progetto di sostegno alla gravidanza e alla maternità ed è nato un piccolo mini-libretto,
"Storie di mamme",la illustrazione di copertina è di Leila Mariani:
per chi vuole prendere visione di questa prima realizzazione, può chiedere a Spazio per me (vedi link sopra a destra, "mi trovi anche qui")
Stiamo pensando di presentarla a qualche reparto maternità della nostra zona... ma siamo disposte, Leila ed io, a venire dove ci chiamate!
Intanto un grazie a Ilaria, Sabrina e Antonella che hanno voluto condividere con noi le loro emozioni, immagini, e pensieri...
Ecco, le prime tre mamme ci hanno raggiunto in questo progetto di sostegno alla gravidanza e alla maternità ed è nato un piccolo mini-libretto,
"Storie di mamme",la illustrazione di copertina è di Leila Mariani:
per chi vuole prendere visione di questa prima realizzazione, può chiedere a Spazio per me (vedi link sopra a destra, "mi trovi anche qui")
Stiamo pensando di presentarla a qualche reparto maternità della nostra zona... ma siamo disposte, Leila ed io, a venire dove ci chiamate!
Intanto un grazie a Ilaria, Sabrina e Antonella che hanno voluto condividere con noi le loro emozioni, immagini, e pensieri...
domenica 6 settembre 2015
educare è sperare
Le mie riflessioni, in una luminosa e sonnecchiante domenica pomeriggio di fine- estate, vanno sulla scia della mia attuale lettura: "Breviario per i don Chisciotte- taccuino di pedagogia della rivoluzione" della mia stimatissima amica, prof. Chiara Scardicchio.
Sono al capitolo 5, dopo aver fatto una doverosa puntatina al post scriptum, sentendomi autorizzata dall'ormai noto decalogo di Pennac; improvvisamente, una frenesia di raccontare mi fa interrompere la lettura ed eccomi qui.
Perdonate.
Ma questa è la prima conferma: sono compulsivamente portata a sfidare, contemporaneamente, pericolo e ridicolo. Come Chiara Scardicchio riferisce, di don Chisciotte.
Il mio racconto è breve:
quest'ultimo inverno ho seguito, per la seconda "edizione", un gruppo di insegnanti e genitori dell'Istituto Comprensivo della mia città, per il progetto del "patto educativo". Questa edizione, differentemente dalla prima, accoglieva anche docenti della scuola secondaria di primo grado (medie, per intenderci).
Il dibattito con questi ultimi, in particolare, è stato molto serrato: ora mi accorgo che si scontravano due visioni che nel testo di Scardicchio possono essere ricondotte alla psicologia "del saggio" rispetto a quella "del visionario". Naturalmente, seguendo la lettura di due agguerrite docenti di italiano e matematica, io appartenevo pietosamente alla seconda categoria.
Una delle due ad un certo punto mi apostrofa, esasperata dai miei ripetuti rilanci in una lettura della situazione che apra a possibili interventi promuoventi la relazione educativa e l'alleanza con la famiglia: "Ma lei in che mondo vive?" . Sul suo volto, un ghigno cinico-soddisfatto a chiusura del suo repentino intervento: soddisfatto, perché per accusare il colpo mi ci è voluto un qualche secondo di silenzio in più.
Non rispondo e riprendo con la mia analisi della situazione, finché riesco educatamente a ribaltarle la domanda: "ma in che mondo (senza speranza, sottintendo) vive LEI?". Il suo volto mostra ora spaesamento, spiazzamento. Sembra che esprima l'interrogativo: "ma che c'entra la professione insegnante con la speranza?".
Il volto degli altri presenti, invece, mi sembra segnalare gratitudine: tutti siamo lì grazie a sforzi e sacrifici, quella sera come altre precedentemente, abbiamo faticosamente lasciato a casa marito (o moglie) e figli, non ci va di ricevere anche l'etichetta di sognatori. Oppure sì, se questo vuol dire sperare irriducibilmente. Non potremmo impegnarci in questo modo, per meno. E non ha a che fare solo con la fede cattolica, come dimostra bene Chiara Scardicchio nel testo: "l'utopia è categoria pedagogica, la lamentazione no."
Non si può educare se non si ha la competenza di sperare, nella sua accezione completa di pensarsi capace di agire per un futuro che realizzi degli obiettivi di senso per la propria umanità e per la comunità in cui si vive. Senza speranza non si dà educazione. Non si è credibili, davanti a dei ragazzi che affacciandosi al futuro ci chiedono da che parte stiamo: e se tradiamo il nostro cinismo, ovvero la nostra personale sconfitta, li potremo tenere solo con le minacce, con le note, con i voti (bassi, ma anche alti).
E' tutta estate che ripenso a quella prof perché sento che ho qualcosa in sospeso con lei: ho deciso che per pacificarmi, le regalerò il libro di Chiara!
breviario per i don chisciotte
Sono al capitolo 5, dopo aver fatto una doverosa puntatina al post scriptum, sentendomi autorizzata dall'ormai noto decalogo di Pennac; improvvisamente, una frenesia di raccontare mi fa interrompere la lettura ed eccomi qui.
Perdonate.
Ma questa è la prima conferma: sono compulsivamente portata a sfidare, contemporaneamente, pericolo e ridicolo. Come Chiara Scardicchio riferisce, di don Chisciotte.
Il mio racconto è breve:
quest'ultimo inverno ho seguito, per la seconda "edizione", un gruppo di insegnanti e genitori dell'Istituto Comprensivo della mia città, per il progetto del "patto educativo". Questa edizione, differentemente dalla prima, accoglieva anche docenti della scuola secondaria di primo grado (medie, per intenderci).
Il dibattito con questi ultimi, in particolare, è stato molto serrato: ora mi accorgo che si scontravano due visioni che nel testo di Scardicchio possono essere ricondotte alla psicologia "del saggio" rispetto a quella "del visionario". Naturalmente, seguendo la lettura di due agguerrite docenti di italiano e matematica, io appartenevo pietosamente alla seconda categoria.
Una delle due ad un certo punto mi apostrofa, esasperata dai miei ripetuti rilanci in una lettura della situazione che apra a possibili interventi promuoventi la relazione educativa e l'alleanza con la famiglia: "Ma lei in che mondo vive?" . Sul suo volto, un ghigno cinico-soddisfatto a chiusura del suo repentino intervento: soddisfatto, perché per accusare il colpo mi ci è voluto un qualche secondo di silenzio in più.
Non rispondo e riprendo con la mia analisi della situazione, finché riesco educatamente a ribaltarle la domanda: "ma in che mondo (senza speranza, sottintendo) vive LEI?". Il suo volto mostra ora spaesamento, spiazzamento. Sembra che esprima l'interrogativo: "ma che c'entra la professione insegnante con la speranza?".
Il volto degli altri presenti, invece, mi sembra segnalare gratitudine: tutti siamo lì grazie a sforzi e sacrifici, quella sera come altre precedentemente, abbiamo faticosamente lasciato a casa marito (o moglie) e figli, non ci va di ricevere anche l'etichetta di sognatori. Oppure sì, se questo vuol dire sperare irriducibilmente. Non potremmo impegnarci in questo modo, per meno. E non ha a che fare solo con la fede cattolica, come dimostra bene Chiara Scardicchio nel testo: "l'utopia è categoria pedagogica, la lamentazione no."
Non si può educare se non si ha la competenza di sperare, nella sua accezione completa di pensarsi capace di agire per un futuro che realizzi degli obiettivi di senso per la propria umanità e per la comunità in cui si vive. Senza speranza non si dà educazione. Non si è credibili, davanti a dei ragazzi che affacciandosi al futuro ci chiedono da che parte stiamo: e se tradiamo il nostro cinismo, ovvero la nostra personale sconfitta, li potremo tenere solo con le minacce, con le note, con i voti (bassi, ma anche alti).
E' tutta estate che ripenso a quella prof perché sento che ho qualcosa in sospeso con lei: ho deciso che per pacificarmi, le regalerò il libro di Chiara!
breviario per i don chisciotte
lunedì 31 agosto 2015
Ricomincia la scuola...
Sara sta per andare in terza elementare.
Le vacanze sono finite: lo si capisce dal fatto che il tempo ora passa molto veloce, la data del primo giorno di scuola si avvicina ad una velocità spaventosa, e poi c'è un accavallarsi di compiti-non-fatti, quaderni-pennarelli-gomme da comprare...
"Sei contenta?" - le chiede il cartolaio.
"Si..." - bisbiglia Sara, ma ha un sorriso poco convinto. Certo, rivedrà le amiche, e poi le maestre sono molto simpatiche... Sara fa un sospiro. Sa di essere grande, ormai.
"Dai, non ti peserà così tanto" - dice la mamma. E così arriva il primo giorno di scuola. Tutti che salutano, le amiche che le corrono incontro, ci si deve raccontare un sacco di cose...
"Come inizio non c'è male" - pensa Sara. Bastano pochi giorni perché Sara diventi un po' musona e la mamma se ne accorge: "Che c'è Sara ?"
"Niente" - risponde lei, e se ne va nella sua cameretta. Il giorno dopo la maestra dice alla mamma: "Credo che abbia bisticciato con le amiche per via di alcune biglie..."
Sara in classe è un po' distratta, fa fatica a mettersi in fila con gli altri, la maestra la deve richiamare più volte perché chiacchiera.
Un giorno dice a Carlo, un bambino down vicino di banco: "Non ti do la mano e non sono più tua amica". Carlo reagisce graffiandola: la maestra cerca di mettere le cose a posto ma poi si accorge che Sara sta parlando male di questo bambino ad altri compagni. La maestra allora sbotta: "Ma come, allora non sei stata sincera quando avete fatto la pace! Questa è proprio cattiveria!". Sara si mette a piangere. "Non piangere, ora: ne parliamo con la mamma quando ti viene a prendere".
Sara ha un po' di paura, però, dal tono di voce della maestra sembra che non si tratti di una sgridata... e finalmente arrivano le quattro. La mamma ascolta la maestra, poi chiede a Sara: "Su, dimmi cosa ti pesa: è dall'inizio della scuola che sei diventata un po' triste, scontenta. Puoi parlarmene!". Sara si vergogna, ma sottovoce dice:
"Ho paura che gli altri bambini non vogliano essere miei amici..."
"Ma perché no?" - ribatte la mamma -. "Basta che sei te stessa, serena, aperta!"
"Si, ma loro... ma io..."
La mamma ha la sensazione che non sia questo il problema e dice a Sara: "Su coraggio! Lo sai che ti voglio bene, che non sei una bambina cattiva!"
"Oh si che sono una bambina cattiva!" - scoppia a piangere Sara -. "E poi sono già grande, me lo dici sempre, e invece quando sono a scuola mi manchi tanto e la mattina non ti vedo nemmeno perché tu vai al nuovo lavoro presto, mentre io dormo ancora..."
"Ho capito - dice la mamma - allora adesso facciamo un accordo e lo diciamo anche alla maestra: insieme alla merendina che ti lascio sul tavolo ti scriverò un bigliettino tutti i giorni che non riusciamo a vederci prima della scuola, va bene? Sarà il tuo bigliettino-merenda!"
A Sara questa idea piace molto, ed è anche rincuorata da una frase della maestra: "Non vergognarti se qualche volta ti manca la mamma: è perché le vuoi bene".
Il giorno dopo, la prima cosa che Sara fa quando vede la maestra, è sventolare allegramente un bigliettino bianco, piegato, con un cuoricino disegnato sul davanti! Si siede al suo banco, lo apre... ed un bel sorriso le illumina il volto.
L'inizio della scuola è un evento che richiede un ADATTAMENTO EMOTIVO, quindi impegno, energie ed un po' di fatica. Anche se non è proprio il primo giorno di scuola in assoluto, come in prima elementare, anche se si ha già l'esperienza (chi va in seconda, in terza... e così via), il compito rimane: entrare nel ritmo, così diverso da quello estivo. E' normale.
Le vacanze sono finite: lo si capisce dal fatto che il tempo ora passa molto veloce, la data del primo giorno di scuola si avvicina ad una velocità spaventosa, e poi c'è un accavallarsi di compiti-non-fatti, quaderni-pennarelli-gomme da comprare...
"Sei contenta?" - le chiede il cartolaio.
"Si..." - bisbiglia Sara, ma ha un sorriso poco convinto. Certo, rivedrà le amiche, e poi le maestre sono molto simpatiche... Sara fa un sospiro. Sa di essere grande, ormai.
"Dai, non ti peserà così tanto" - dice la mamma. E così arriva il primo giorno di scuola. Tutti che salutano, le amiche che le corrono incontro, ci si deve raccontare un sacco di cose...
"Come inizio non c'è male" - pensa Sara. Bastano pochi giorni perché Sara diventi un po' musona e la mamma se ne accorge: "Che c'è Sara ?"
"Niente" - risponde lei, e se ne va nella sua cameretta. Il giorno dopo la maestra dice alla mamma: "Credo che abbia bisticciato con le amiche per via di alcune biglie..."
Sara in classe è un po' distratta, fa fatica a mettersi in fila con gli altri, la maestra la deve richiamare più volte perché chiacchiera.
Un giorno dice a Carlo, un bambino down vicino di banco: "Non ti do la mano e non sono più tua amica". Carlo reagisce graffiandola: la maestra cerca di mettere le cose a posto ma poi si accorge che Sara sta parlando male di questo bambino ad altri compagni. La maestra allora sbotta: "Ma come, allora non sei stata sincera quando avete fatto la pace! Questa è proprio cattiveria!". Sara si mette a piangere. "Non piangere, ora: ne parliamo con la mamma quando ti viene a prendere".
Sara ha un po' di paura, però, dal tono di voce della maestra sembra che non si tratti di una sgridata... e finalmente arrivano le quattro. La mamma ascolta la maestra, poi chiede a Sara: "Su, dimmi cosa ti pesa: è dall'inizio della scuola che sei diventata un po' triste, scontenta. Puoi parlarmene!". Sara si vergogna, ma sottovoce dice:
"Ho paura che gli altri bambini non vogliano essere miei amici..."
"Ma perché no?" - ribatte la mamma -. "Basta che sei te stessa, serena, aperta!"
"Si, ma loro... ma io..."
La mamma ha la sensazione che non sia questo il problema e dice a Sara: "Su coraggio! Lo sai che ti voglio bene, che non sei una bambina cattiva!"
"Oh si che sono una bambina cattiva!" - scoppia a piangere Sara -. "E poi sono già grande, me lo dici sempre, e invece quando sono a scuola mi manchi tanto e la mattina non ti vedo nemmeno perché tu vai al nuovo lavoro presto, mentre io dormo ancora..."
"Ho capito - dice la mamma - allora adesso facciamo un accordo e lo diciamo anche alla maestra: insieme alla merendina che ti lascio sul tavolo ti scriverò un bigliettino tutti i giorni che non riusciamo a vederci prima della scuola, va bene? Sarà il tuo bigliettino-merenda!"
A Sara questa idea piace molto, ed è anche rincuorata da una frase della maestra: "Non vergognarti se qualche volta ti manca la mamma: è perché le vuoi bene".
Il giorno dopo, la prima cosa che Sara fa quando vede la maestra, è sventolare allegramente un bigliettino bianco, piegato, con un cuoricino disegnato sul davanti! Si siede al suo banco, lo apre... ed un bel sorriso le illumina il volto.
L'inizio della scuola è un evento che richiede un ADATTAMENTO EMOTIVO, quindi impegno, energie ed un po' di fatica. Anche se non è proprio il primo giorno di scuola in assoluto, come in prima elementare, anche se si ha già l'esperienza (chi va in seconda, in terza... e così via), il compito rimane: entrare nel ritmo, così diverso da quello estivo. E' normale.
Questo episodio, realmente accaduto (ho sintetizzato gli eventi di un mese) mette in luce come talvolta i bambini vivano questa normale difficoltà come ingiustificata per la loro età. Sara non trovava normale la fatica che provava, visto che era già grande.
Ma il problema, ancora più a monte, di Sara, è il sentire la mancanza della mamma. Anche questa cosa la giudica non appropriata per la sua età, se ne vergogna. Non permettendosi di esprimere questa sua fatica, senso di mancanza e una richiesta di aiuto, Sara finisce dunque per avere comportamenti scontrosi, rabbiosetti. Col tempo, la bambina arriva a dubitare di essere davvero così: scontrosa e rabbiosetta. Cattiva, addirittura. Per cui teme di non essere degna della amicizia altrui.
La situazione di Sara è particolare perché l'inizio della scuola coincide con il nuovo lavoro della mamma e le circostanze impediscono loro un momento in cui cominciare la giornata insieme: però ci possono essere diversi motivi per cui un bambino sente in modo più intenso, in certi momenti, il bisogno di una rassicurazione. La mancanza della mamma è in effetti riconducibile a questo bisogno/richiesta più generale: è il bisogno di essere rassicurata che ce la fa, che davvero ha a disposizione le risorse per affrontare, pur con fatica, la realtà di ogni giorno. La mamma di Sara, scrivendo il bigliettino, aiuta la figlia a superare un momento in cui, per la bambina, è più difficile rendersi conto che è sostenuta da questo amore che le dà energia e fiducia sufficienti per l'impegno quotidiano.
Può darsi che i vostri figli, se leggerete loro il racconto, vi chiedano cosa ci possa essere scritto su quel biglietto. Qui è l'occasione perché la storia diventi su misura, dunque lascio la risposta alla fantasia e all'amore di voi genitori.
giovedì 20 agosto 2015
IV TORNEO MONDIALE DI MICROFIABE
Anche quest'anno, la sfida: 111 parole!
La Fiaba col Guscio che concorre stavolta è LA BAMBINA DI ZUCCHERO, stay tuned!
Il Museo Cambonino, a Cremona, merita proprio una visita, in ogni caso... associazionek-torneo-mondiale-di-microfiabe/
La Fiaba col Guscio che concorre stavolta è LA BAMBINA DI ZUCCHERO, stay tuned!
Il Museo Cambonino, a Cremona, merita proprio una visita, in ogni caso... associazionek-torneo-mondiale-di-microfiabe/
venerdì 14 agosto 2015
gelosia: la questione delle fette di torta
Sul tema “gelosia” ho un altro ricordo, abbastanza divertente, se
non fosse per la serietà con cui l’avevano posto i bambini protagonisti del
fatto: mi trovavo in una scuola primaria, a raccontare una fiaba a dei bambini
di seconda. Nell’ascoltare i commenti successivi alla fiaba, sento che i
bambini hanno bisogno di essere rassicurati sul fatto che i loro genitori li
amano. Così lo dico: “i vostri genitori vi vogliono bene!”. Un istante dopo, un
grido unanime mi sommerge: “ma vogliono più bene a quello più piccolo!”
Ecco: per tutti i non-ultimogeniti, anche quelli in seconda
elementare, evidentemente, il problema della gelosia è questo: il timore di
essere amati meno, da quando c’è “l’altro”, a favore di quest’altro.
E’ come se i bambini vivessero l’amore dei genitori come una
torta, da dividere a fette con gli altri fratelli… quando uso questo paragone,
non solo con bambini di seconda ma anche con quelli di tre/quattro anni, tutti
mostrano di capire.
E’ vero, rispondo: il tempo della mamma, del papà, non è tutto per
te, devi dividerlo con tuo fratello, come devi dividere lo spazio della
cameretta. Invece l’amore non sta a questa regola del dividere, l’amore del
genitore è SOLO MOLTIPLICABILE (i bambini di seconda capiscono qui a cosa serve
la matematica): è come se i genitori avessero una torta intera per ciascuno dei
figli.
L’idea della “torta intera” tranquillizza, in fondo è questo che
vogliono sapere: che hanno ancora tutto l’amore di prima, tutto l’amore di cui
hanno bisogno per crescere. Anche per chi pone ulteriori dubbi dico: “l’amore
del papà e della mamma è per te tutta la torta che vuoi”.
Se volete, potete leggere anche ai vostri figli questa semplice
fiaba sul tema, creata assieme ad alcuni genitori che ho conosciuto anni fa all’asilo
nido di Galbiate:
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La pietra magica
C'era una volta il figlio del capo indiano, un
ragazzo molto sveglio. Un giorno, ricevette un regalo dai suoi genitori: una
pietra magica che brillava nel buio.
Il ragazzo era molto contento di questo dono;
un giorno però, si accorse di qualcosa di strano: la pietra sembrava non
brillare più . Preoccupatissimo, esclamò: "e adesso, che faccio? Le cose
non sono più come prima!". Così si mise a correre, e si sentiva pieno di
tristezza e rabbia. Corse, corse finché giunse in un posto che non aveva mai
visto sino ad allora: c’era un laghetto azzurrissimo.
Lì, c'era qualcuno che sembrava lo stesse
aspettando: era una rana azzurra come il lago, che gli chiese: "Cosa ti
capita?". Il bambino rispose: "mi succede che la pietra magica avuta
in regalo dai miei genitori non brilla più come prima! Penso che forse è colpa
mia, non sono stato abbastanza attento…”
La rana allora gli disse: "Ne sei
convinto? Ora ti dico una cosa che ti aiuterà: questo tipo di pietre magiche
riprendono splendore solo se ti concentri e pensi a quando i tuoi genitori te
l’hanno regalata”. Il bambino rimase un po' incerto se credere a quella cosa,
poi decise che poteva fidarsi: così seguì il consiglio. Infatti chiuse gli
occhi e iniziò a pensare a quando aveva ricevuto quel regalo: subito un sorriso
gli illuminò la faccia.
Aprì gli occhi e si mise a correre verso casa. Quando vi giunse, scoprì una cosa incredibile: la sua pietra brillava al buio proprio come prima! Raccontò tutto alla mamma ed al papà, e loro dissero, abbracciandolo : “figliolo, la pietra che ti abbiamo regalato non finirà mai di brillare”.
Aprì gli occhi e si mise a correre verso casa. Quando vi giunse, scoprì una cosa incredibile: la sua pietra brillava al buio proprio come prima! Raccontò tutto alla mamma ed al papà, e loro dissero, abbracciandolo : “figliolo, la pietra che ti abbiamo regalato non finirà mai di brillare”.
sabato 8 agosto 2015
Quando "non ti voglio!" vuol dire un' altra cosa...
Questa storiella si riferisce ad un episodio che mi è capitato veramente, quando raccontavo le mie fiabe alla biblioteca milanese di Cassina Anna...
Martina e' una bambina di sei anni, sveglia, davvero molto
intelligente; a casa è diventata un sostegno per la mamma perché c'è Leo, il
fratellino di due anni che è un po' un terremoto. La mamma si fida di lei e
Martina è contenta di poter fare qualcosa che la fa sentire importante.
Un
sabato pomeriggio vanno tutti insieme a vedere uno spettacolo per bambini e il
papa' li accompagna con la macchina. Nella sala c'è già della gente, bambini
con i loro genitori o con i nonni: Martina ha un attimo di timidezza e aspetta
la mamma che guarda preoccupata e dice: "Forse per Leo stare qui bello
tranquillo è un po' difficile... se si agita dovrò portarlo fuori...".
Martina si immusonisce: lei avrebbe voglia di seguire tutto lo spettacolo,
perché Leo è cosi' un guastafeste? La mamma lo tranquillizza: "Dai, al
limite ti lascio un attimo con gli altri bambini, ma io sono subito fuori dalla
porta..." La soluzione non piace troppo a Martina.
Lo spettacolo inizia e
Martina e la mamma si guardano divertite: è una bella storia. A meta' del
racconto pero' Leo inizia a frignare e a fare i capricci e la mamma lo porta
ben presto fuori, per non disturbare gli altri. Martina si fa forza e cerca di
non sentirsi arrabbiata... dopo un po' non le fa più ne' caldo ne' freddo che
la mamma non sia li' con lei. Anzi, a fine spettacolo, corre sul palco e cerca
di prendere il pupazzo che, nella storia, rappresenta la mamma. L'attrice si
accorge: "Ma cosa stai facendo?!". Martina non perde la grinta e dice
sicura: "Voglio prendere questa mamma. Me la porto via".
"Oh no - ribatte l'attrice, una giovane signora -, quella mamma li' mi serve, fa parte del mio spettacolo... scusa, ma non hai la mamma?"
"Ma io ho questa! La mia mamma e' più brutta!" - dice buia Martina e, detto fatto, se ne va via con il pupazzo.
"Aspetta! Dov'è la tua mamma?"
"E' fuori" - risponde Martina con lo sguardo basso.
"Beh, aspettiamo che torni" - dice la signora.
La mamma infatti arriva. E' riuscita a lasciare Leo al papa' e chiede se lo spettacolo è finito.
"Si, ma c'è un problema" - risponde l'attrice. La mamma vorrebbe volentieri non averne altri di problemi; quel pomeriggio le sono bastati i capricci di Leo... ma sta ad ascoltare: Martina ha il muso, stringe forte il pupazzo e le volta le spalle. L'attrice le chiede: "Sei sicura che quel pupazzo li' è più bello della tua mamma? A me non sembra proprio...".
La mamma capisce: "Tesoro, ti sono mancata?"
"No!" - ribatte Martina, ma ha un po' di pianto nella voce. La mamma l'abbraccia: Martina fa un po' di resistenza, poi si lascia andare e piagnucola piano. L'attrice può riprendersi il pupazzo e tornare dietro le quinte.
"Su, che ti voglio bene" - dice a Martina portandola fuori.
"Mi abbracci ancora?" - le chiede la bimba. E la mamma la stringe di nuovo a se'.
"Oh no - ribatte l'attrice, una giovane signora -, quella mamma li' mi serve, fa parte del mio spettacolo... scusa, ma non hai la mamma?"
"Ma io ho questa! La mia mamma e' più brutta!" - dice buia Martina e, detto fatto, se ne va via con il pupazzo.
"Aspetta! Dov'è la tua mamma?"
"E' fuori" - risponde Martina con lo sguardo basso.
"Beh, aspettiamo che torni" - dice la signora.
La mamma infatti arriva. E' riuscita a lasciare Leo al papa' e chiede se lo spettacolo è finito.
"Si, ma c'è un problema" - risponde l'attrice. La mamma vorrebbe volentieri non averne altri di problemi; quel pomeriggio le sono bastati i capricci di Leo... ma sta ad ascoltare: Martina ha il muso, stringe forte il pupazzo e le volta le spalle. L'attrice le chiede: "Sei sicura che quel pupazzo li' è più bello della tua mamma? A me non sembra proprio...".
La mamma capisce: "Tesoro, ti sono mancata?"
"No!" - ribatte Martina, ma ha un po' di pianto nella voce. La mamma l'abbraccia: Martina fa un po' di resistenza, poi si lascia andare e piagnucola piano. L'attrice può riprendersi il pupazzo e tornare dietro le quinte.
"Su, che ti voglio bene" - dice a Martina portandola fuori.
"Mi abbracci ancora?" - le chiede la bimba. E la mamma la stringe di nuovo a se'.
*** *** *** ***
In questo episodio non e' solo la
situazione "gelosie verso un fratellino piccolo" ad emergere: la
bambina che ha vissuto questa situazione cova del risentimento per il fatto che
vorrebbe la presenza della mamma, vorrebbe magari più coccole dalla mamma, ma non lo esprime.
Da un lato capisce che la mamma in quel momento non può fare
altrimenti, per via del fratellino; dall'altro, pero', se la prende proprio con
la mamma: "Non la voglio. E' brutta". Ma questo rifiuto e'
chiaramente una protesta, una provocazione, e non si manifesta solamente in
presenza di un fratello più piccolo: basta che i bambini credano di essere
stati trascurati, di aver avuto bisogno e di non aver ricevuto (magari
immediatamente) la risposta desiderata, che può scattare il meccanismo.
Dunque il rifiuto è l'espressione di questa frustrazione, piuttosto che un
vero rifiuto nei confronti del genitore. Infatti, basta l'abbraccio della mamma
perché la bambina si senta meglio: perché questo abbraccio fuga la paura di
non essere amati per quello che si è. Qui inoltre, si inserisce per Martina
anche un altro tipo di discorso: "Come! Sono cosi' brava, ti aiuto in
casa, e questo non basta per avere il tuo amore, la tua attenzione?!"
La mamma in realtà ama sua figlia non per questo motivo (sei
brava/non sei brava), ma semplicemente perché e' SUA FIGLIA. Martina ha quindi
bisogno di essere rassicurata, perché vengano smontate quelle paure di non
essere amata e dunque quel sentimento doloroso che sfocia nella provocazione
"voglio un altra mamma".
E' chiaro che la mamma vuole bene ad entrambi i figli, ma anche su questo Martina, pure a modo suo, chiede una
conferma. Ed in questo episodio la conferma e' stato l'abbraccio. Che si può dare anche nel caso si avverta una resistenza iniziale: perché, in fondo, è proprio quello che i figli desiderano e di cui hanno bisogno.
martedì 4 agosto 2015
Le fiabe inventate dai bimbi: un'espressione del mondo interiore
Inizio oggi a riproporre alcuni dei miei articoli che sono comparsi, anni e anni fa, sul sito "L'isola dei bimbi"... buona lettura!
C'era una volta
un bambino fiducioso, che aveva l'affetto di papà, cane e gatto, ma i fratelli
maggiori lo prendevano sempre in giro. Un giorno lo avevano fatto vergognare e
lo avevano escluso dai loro giochi, e lui si infuriò talmente, da andarsene via
di casa sbattendo la porta, per fare un'avventura.
Si era portato con sé degli
spinaci e del formaggio grana per quando avrebbe avuto fame, e si sentiva
allegro di questa sua impresa.
Sul suo cammino incontrò un ghepardo triste e
coraggioso, che gli chiese dove stesse andando:
"Via di
casa - rispose lui - perché i miei fratelli mi prendono in giro ed io non ne
posso più".
"Oh, tu sei
proprio coraggioso come un ghepardo! - disse l'animale -. Ti prego, portami con
te, così forse non mi sentirò più triste e solo!".
E il bambino
accettò.
Dopo un po' di
strada i due incontrarono un verme che si sentiva proprio tale e si lamentava
continuamente: "Che verme che sono!".
Il bambino, per consolarlo, gli
disse: "Guarda, non preoccuparti, se vuoi vieni con noi e ti sentirai meno
verme: del resto anch'io, che ho lasciato la casa dei miei, mi sento un po'
così".
Ed il verme accettò.
Più avanti i tre
incontrarono un coniglio timoroso: "Ma di cosa hai paura tu?" - lo
derise il bambino.
"Io ho
paura dei cambiamenti, e tu?" - chiese il coniglio.
"Io... ho
paura di essere deriso dai miei fratelli: e se tornassi a casa, ora avrei anche
paura di essere sgridato dai miei genitori. Ma vieni con noi, non ti spaventare
dei cambiamenti, ci siamo noi che ti proteggiamo e ti puoi sentire
sicuro".
E così il
coniglio andò con loro. Cammina cammina, i quattro vennero all'improvviso
bloccati sul sentiero da un grosso uomo minaccioso:
"Chi sei
tu?" chiese il bambino tremante.
"Io sono
l'uomo che fa paura!!!" ruggì il gigante.
Il ghepardo
avrebbe voluto assalirlo, ma il verme ed il coniglio erano paralizzati: il
bambino pensò in quell'istante che il vero coraggio sarebbe stato tornare a
casa... del resto, aveva sicuramente meno paura di essere sgridato che di essere
agguantato da questo uomo terribile.
Così mise il verme e il coniglio in
tasca, saltò sulla groppa del ghepardo e, velocissimo, arrivò a casa: il papà
capì, lo abbracciò e lo aiutò ad andare d'accordo con i fratelli .
Questa fiaba è stata costruita
insieme ai bambini di una quinta elementare, ed ha come oggetto una serie di
sentimenti che i bambini hanno portato come presenti in diverse situazioni del
loro quotidiano: la fatica, a volte, nell'interagire con gli altri; la paura di
essere esclusi e derisi, la stizza; il desiderio di voler fare da soli, di
trovarsi delle soluzioni autonomamente, senza chiedere aiuto; la paura di non
farcela.
Nella fiaba i diversi personaggi rappresentano questi sentimenti, che
il bambino impara a riconoscere, ad accettare, e di cui può prendersi cura: la
possibilità di riconoscere i propri sentimenti, le proprie possibilità, è poi
ciò che aiuta a valutare la realtà e a chiedere aiuto all'adulto. E' infatti sì
importante che i figli acquisiscano progressivamente un'autonomia nel gestirsi
e nell'affrontare le diverse situazioni che si possono presentare, e devono
essere sostenuti in questo. Ma è anche legittimo, e quanto mai salutare, che
essi sappiano riconoscere quando hanno bisogno di un adulto, e potergli
chiedere aiuto. Il rifiuto dell'aiuto genitoriale, che alcuni bambini
presentano in maniera sistematica, può essere segnale di difficoltà nel
considerarsi degni di attenzione, di ascolto, di amore: ecco che scatta la
soluzione "faccio da solo a tutti i costi".
La soluzione che adotta il protagonista della fiaba, quando sceglie di
fare da solo, è di rinunciare totalmente al rapporto con i fratelli, di
escludersi: una scelta costosa. Solo quando impara a prestare attenzione ai
propri stati d'animo, può "tornare indietro" e accettare il rapporto
con il genitore, come qualcosa che lo aiuta ad affrontare situazioni complicate
(nella storia sono le gelosie e le invidie con i fratelli) sino a quando
arriverà a farcela da solo. Ma la situazione che propone il papà è ben diversa
dall'esclusione o dalla competizione: il papà propone l'amore, dà fiducia al
positivo del bambino. E' questo che veramente promuove autonomia.lunedì 20 luglio 2015
Una fiaba per mamma e figlio
Mi è capitato di covare una fiaba speciale,
è nata in questi giorni:
è per una mamma e per il suo bambino, per aiutarli a raccontarsi come è stato il loro inizio:
perché è importante capire come è andata, anche e forse soprattutto dopo un po' di tempo...
è importante dare parole a sentimenti per chiarirli, per mettere in luce la loro unicità, magari, anche, per fugare piccoli dubbi o paure...
perché ogni bambino nasce con la propria storia, e ci vogliono parole buone per dirlo:
come una foto fatta bene, con tutti i particolari nella giusta luce;
come una mappa, per orientarsi;
e come una mappa, che si arricchisce con l'esperienza, anche questa storia degli inizi si può arricchire col tempo...
buon nuovo inizio a questa mamma e al suo bambino!
Questa fiaba, "mamma cigno ed il cielo del Madagascar" è ora pubblicata nella raccolta di racconti "Esercizi (alla ricerca) di bellezza" che trovate nella mia vetrina di lulu! (vedi in cima a destra, "mi trovi anche qui"!)
mercoledì 8 luglio 2015
Una fiaba per la nascita
E' un progetto che condivido con la mia inseparabile illustratrice Leila:
dare una forma narrativa e artistica alle immagini, sensazioni, pensieri che si presentano durante i mesi dell' attesa, per poi farne un dono di benvenuto al nuovo arrivato!
A me era successo spontaneamente, intanto che aspettavo il mio primogenito: acquarelli, colla e sabbia del mare... erano per dipingere un paesaggio/passaggio interiore, e mi aveva fatto bene: una bella sensazione di "fare la cosa giusta", non so se mi spiego! Come un rito, un gesto magico, il cui senso era un po' incomprensibile anche a me, ma comprendevo benissimo invece la necessità, a cui mi rimettevo docile e fiduciosa.
C'era poi stato un momento difficile, durante la gravidanza: costretta a letto, oltre a scrivere tutta la tesi di danzaterapia ( trasformando lo svantaggio in opportunità!) avevo scritto una fiaba -dialogo con il piccolo dentro di me: e anche questo aveva agito in qualche modo "misterioso" nel farmi sentire così presente e dentro l'esperienza, uno dei periodi più intensamente vissuti della mia vita, in cui capivo perfettamente chi e dove ero e in cosa ero coinvolta e di cosa si trattava. Anche qui, non so se riesco a spiegarmi!!!
Ma questo penso riesco a dirlo in modo comprensibile: ci si può fidare, ed entrare in questa esperienza così trasformante della gravidanza, senza la pretesa e l'arroganza di ridurla a meri dati concreti... c'è tanto di antico, e magico, a cui ci si può avvicinare meglio con linguaggi più antichi e magici come l'arte e il racconto e la danza ... è un tesoro che possiamo incontrare, e ne usciamo con quello sguardo, quella strizzata d'occhio di chi sa...!
(oddio forse non sono stata comprensibile nemmeno stavolta)
Informazioni e prenotazioni: elena.rovagnati@teletu.it
via Montebello 64, Mariano Comense, tel 031 3551976, info@spazioperme.it, www.spazioperme.it
dare una forma narrativa e artistica alle immagini, sensazioni, pensieri che si presentano durante i mesi dell' attesa, per poi farne un dono di benvenuto al nuovo arrivato!
A me era successo spontaneamente, intanto che aspettavo il mio primogenito: acquarelli, colla e sabbia del mare... erano per dipingere un paesaggio/passaggio interiore, e mi aveva fatto bene: una bella sensazione di "fare la cosa giusta", non so se mi spiego! Come un rito, un gesto magico, il cui senso era un po' incomprensibile anche a me, ma comprendevo benissimo invece la necessità, a cui mi rimettevo docile e fiduciosa.
C'era poi stato un momento difficile, durante la gravidanza: costretta a letto, oltre a scrivere tutta la tesi di danzaterapia ( trasformando lo svantaggio in opportunità!) avevo scritto una fiaba -dialogo con il piccolo dentro di me: e anche questo aveva agito in qualche modo "misterioso" nel farmi sentire così presente e dentro l'esperienza, uno dei periodi più intensamente vissuti della mia vita, in cui capivo perfettamente chi e dove ero e in cosa ero coinvolta e di cosa si trattava. Anche qui, non so se riesco a spiegarmi!!!
Ma questo penso riesco a dirlo in modo comprensibile: ci si può fidare, ed entrare in questa esperienza così trasformante della gravidanza, senza la pretesa e l'arroganza di ridurla a meri dati concreti... c'è tanto di antico, e magico, a cui ci si può avvicinare meglio con linguaggi più antichi e magici come l'arte e il racconto e la danza ... è un tesoro che possiamo incontrare, e ne usciamo con quello sguardo, quella strizzata d'occhio di chi sa...!
(oddio forse non sono stata comprensibile nemmeno stavolta)
Informazioni e prenotazioni: elena.rovagnati@teletu.it
via Montebello 64, Mariano Comense, tel 031 3551976, info@spazioperme.it, www.spazioperme.it
giovedì 2 luglio 2015
nuova Fiaba Col Guscio!
ve l'avevo detto... è nata "il principe dei draghi", frutto del bellissimo lavoro con un piccolo Samu, attivissimo esploratore che non si perdeva mai in chiacchiere, e dei suoi gagliardi genitori (della stirpe dei Sami, ovviamente) che hanno avuto fiducia in se stessi e in lui, a dispetto delle civette appollaiate, pronte a lanciare occhiate di commiserazione e disprezzo... ma che ne sapevano loro, della magia dell'armatura e del corno donato dal re? Nulla!!!
Ma i Sami, che sono superiori a certe cose, non glielo faranno pesare... loro che hanno vinto con creatività e intelligenza sui tre draghi che facevano paura pure alle civette criticone!!! (e mi ci metto pure io, che sono la testimone- cantastorie di questa bella fiaba...!)
Questa fiaba dà una mano ai genitori e ai bambini che, non volendo rinunciare alle emozioni anestetizzandosi e omologandosi, devono solo imparare a riconoscerle e ad esprimerle... maneggiare con cura, per intenderci!
L'altra cosa da gestire, soprattutto da parte dei genitori, è il giudizio che a volte parte in modo difensivo in alcuni ambienti (scuola, vicinato) perchè a loro volta non hanno saputo come liberare i draghi... forza genitori!!! Le Fiabe col Guscio sono dalla vostra parte!!!
ed ora, aspettiamo solo che la nostra fata illustratrice Leila abbia l'ispirazione giusta... <3
Ma i Sami, che sono superiori a certe cose, non glielo faranno pesare... loro che hanno vinto con creatività e intelligenza sui tre draghi che facevano paura pure alle civette criticone!!! (e mi ci metto pure io, che sono la testimone- cantastorie di questa bella fiaba...!)
Questa fiaba dà una mano ai genitori e ai bambini che, non volendo rinunciare alle emozioni anestetizzandosi e omologandosi, devono solo imparare a riconoscerle e ad esprimerle... maneggiare con cura, per intenderci!
L'altra cosa da gestire, soprattutto da parte dei genitori, è il giudizio che a volte parte in modo difensivo in alcuni ambienti (scuola, vicinato) perchè a loro volta non hanno saputo come liberare i draghi... forza genitori!!! Le Fiabe col Guscio sono dalla vostra parte!!!
ed ora, aspettiamo solo che la nostra fata illustratrice Leila abbia l'ispirazione giusta... <3
lunedì 27 aprile 2015
Prossimo reading della fata Cuoricina!
domenica 24 maggio alle 15.30 a Spazio per me a Mariano Comense...
Dell'ultimo libretto, la fata Cuoricina è la preferita di Diego (il figlio di Leila, la mia illustratrice e abitante di Spazio per me!)...
http://www.spazioperme.it/dettaglio_eventi.asp?idNews=599&idOrg=2191
Dell'ultimo libretto, la fata Cuoricina è la preferita di Diego (il figlio di Leila, la mia illustratrice e abitante di Spazio per me!)...
http://www.spazioperme.it/dettaglio_eventi.asp?idNews=599&idOrg=2191
martedì 14 aprile 2015
Nuove Fiabe col Guscio in arrivo!
Sto covando nuove Fiabe col Guscio, sapete?
Perché continuo ad incontrare bambini con le loro famiglie, e mi portano argomenti importanti:
quindi la prossima Fiaba col Guscio tratterà di tre draghi e del principe che li voleva cavalcare...
e poi anche ne arriva un'altra, che ha a che fare con passaggi impervi ed esploratori un po' testoni, un po' fifoni...
arrivano, arrivano!
silenzio, si cova... ;)
Perché continuo ad incontrare bambini con le loro famiglie, e mi portano argomenti importanti:
quindi la prossima Fiaba col Guscio tratterà di tre draghi e del principe che li voleva cavalcare...
e poi anche ne arriva un'altra, che ha a che fare con passaggi impervi ed esploratori un po' testoni, un po' fifoni...
arrivano, arrivano!
silenzio, si cova... ;)
domenica 12 aprile 2015
Aiutiamo i nostri figli a gestire le emozioni/2
Continuo qui riportando altri consigli, scegliendone alcuni dal lungo articolo della Pozatek:
Inquadra la lotta come buona, e le emozioni difficili come normali:
Il problema non è l'ansia o la rabbia, il problema sono i nostri comportamenti, le nostre reazioni quando siamo ansiosi o arrabbiati. Tipiche, improduttive reazioni all'ansia e alla rabbia sono l'essere impulsivi e bruschi con gli altri, o sentirsi sopraffatti e chiudersi. Quando noi accettiamo le emozioni, verosimilmente lo faranno anche i nostri figli.
Incoraggia i tuoi figli a sentire TUTTE le loro emozioni in modo pieno:
Sentire - anche cose spiacevoli - è parte di una vita ricca e soddisfacente. Enfatizza coi tuoi figli i benefici del vivere una vita dinamica invece che una rigida e bloccata (anche se a volte è difficile)
Normalizza errori, contrattempi e fallimenti:
Perché sono essenziali al processo di apprendimento e maturazione. Nessuno ha mai avuto successo senza aver fatto molta esperienza di fallimenti.
Accetta tuo figlio TOTALMENTE:
se tuo figlio si sente accettato, probabilmente si accetterà più facilmente come conseguenza.
...e buon percorso!
Inquadra la lotta come buona, e le emozioni difficili come normali:
Il problema non è l'ansia o la rabbia, il problema sono i nostri comportamenti, le nostre reazioni quando siamo ansiosi o arrabbiati. Tipiche, improduttive reazioni all'ansia e alla rabbia sono l'essere impulsivi e bruschi con gli altri, o sentirsi sopraffatti e chiudersi. Quando noi accettiamo le emozioni, verosimilmente lo faranno anche i nostri figli.
Incoraggia i tuoi figli a sentire TUTTE le loro emozioni in modo pieno:
Sentire - anche cose spiacevoli - è parte di una vita ricca e soddisfacente. Enfatizza coi tuoi figli i benefici del vivere una vita dinamica invece che una rigida e bloccata (anche se a volte è difficile)
Normalizza errori, contrattempi e fallimenti:
Perché sono essenziali al processo di apprendimento e maturazione. Nessuno ha mai avuto successo senza aver fatto molta esperienza di fallimenti.
Accetta tuo figlio TOTALMENTE:
se tuo figlio si sente accettato, probabilmente si accetterà più facilmente come conseguenza.
...e buon percorso!
sabato 11 aprile 2015
Aiutiamo i nostri figli a gestire le emozioni/1
Le Fiabe Col Guscio sono proprio nate per aiutare i bambini a familiarizzare con tutte le loro emozioni... ecco qui un altro aiuto, si tratta di una mia traduzione di un articolo di Krissy Pozatek che ho trovato molto interessante per aiutare i nostri figli a gestire il mondo emotivo e quindi a rafforzarsi nella capacità di superare le difficoltà piccole e grandi:
Uno dei ritornelli più comuni che i genitori mi riportano è
qualcosa del genere “non voglio che mio figlio si senta X”. Puoi metterci quello che vuoi al posto
della X: non voglio che mio figlio si senta escluso, rifiutato, un fallimento,
triste, preoccupato, insicuro, solo, arrabbiato. In breve, nessuno vuole che i
propri figli provino dolore.
Come genitori, possiamo essere su una via verso la
consapevolezza di sè e comprendere che dolore e sofferenza sono parte della
vita, ma con i nostri figli siamo pronti
nel proteggerli da qualsiasi dolore o disagio emotivo.
La maggioranza dei genitori vogliono semplicemente che i
propri figli siano felici. Cosa
pensereste se vi dicessi che può darsi che l’obiettivo non debba essere la
felicità, ma qualcosa di differente – la salute emotiva. Con salute emotiva
intendo che possiamo stare con TUTTE le nostre emozioni senza “reagirvi”
semplicemente: in una parola, RESILIENZA.
Quando indirizziamo i nostri figli verso la felicità, stiamo
dicendo ad altri livelli che altre emozioni più difficili non sono OK. Stiamo anche
distruggendo la naturale abilità dei nostri figli di sentire il normale spettro
delle emozioni umane che inevitabilmente include tristezza, rabbia, ansia,
noia, paura, sollievo e così via.
Ma cercando di aggiustare le emozioni difficili per nostri figli, noi li roviniamo. Quando
anticipiamo vigili dei problemi prima che accadano, non aiutiamo i nostri figli
a diventare più forti. Ciò che i genitori dimenticano è che il cammino che sta
davanti è accidentato.
Massi ed ostacoli sono costantemente gettati lungo i percorsi di vita nostri e dei nostri figli, perché
è così che tutti cresciamo, maturiamo e diventiamo più saggi.
I nostri figli hanno bisogno di lottare e sentire le proprie
emozioni per imparare la resilienza. Lottare è buono, necessario, importante.
E la resilienza può essere insegnata e imparata.
Qui ci sono alcuni passi per incrementare la resilienza nei
bambini:
1. conferma e normalizza tutti i
sentimenti di tuo figlio.
… persino se è arrabbiato con te. In questo modo i bambini
elaborano e si muovono naturalmente attraverso le emozioni; li aiuterà a
sviluppare una abilità più sana di gestire sentimenti difficili. Non andare in
punta di piedi coi sentimenti di tuo figlio, addolcendoli o cercando di “spazzarli
sotto il tappeto” con delle distrazioni. Permetti a tuo figlio di essere
irritato con te senza sentire come se tu avessi bisogno di riparare o cambiare
qualcosa. Tu puoi dire “ti ascolto”, “è frustrante”, “che fiasco”.
2. manda due messaggi assieme:
Cosa intendo con questo? Bene, puoi simultaneamente accettare
qualsiasi cosa tuo figlio sta sentendo e allo stesso tempo mettere dei confini
ai comportamenti. Questo permette ai figli di sentirsi ascoltati ma anche di
sapere che devono essere responsabili dei loro comportamenti; non possono
correre gridando e gettando cose contro il tavolo… per esempio, se tuo figlio è
furioso e sta urlando puoi dire “deve scombussolarti proprio questa cosa. E’
difficile non fare come stai facendo, ma urlare non è mai OK e se continui ad
urlare dovrai andartene in camera tua.” Questo permetterà a tuo figlio di
sentirsi ascoltato ma anche di essere consapevole dei limiti.
nel prossimo post gli altri consigli per rafforzare la resilienza in tuo figlio!
giovedì 26 febbraio 2015
red flags! ovvero 7 segnali da considerare per il benessere psicologico di tuo figlio
In italiano parliamo di "campanelli d'allarme": sono quelli che bisogna captare per capire se nostro figlio ha qualche difficoltà che merita un supporto di un professionista... vediamo quali sono, secondo
Katie Hurley, (mia traduzione di stralci tratti dal suo articolo su www.momtastic.com )
"I bambini affrontano diversi ostacoli quando crescono, e
tutti fanno esperienza di stress e dispiaceri.
Può essere difficile riconoscere quando tuo figlio può
riuscire a superarli in modo autonomo e quando invece avrebbe bisogno di un
esperto.
Ma la buona notizia è che ci sono diverse possibilità di
aiuto, per i bambini che ne hanno bisogno: uno tra questi, è provare con una fiaba che offra degli spunti per riflettere sul tema che li sta coinvolgendo.
Questi i campanelli d’allarme da considerare, se pensi di
aver bisogno di un aiuto per tuo figlio:
- sta avendo difficoltà a casa e a
scuola. Quando un bambino ha in corso una battaglia con le
proprie emozioni, tende ad avere un comportamento problematico (risponde
agli adulti o non li ascolta, colpisce gli altri bambini)
2. evita gli amici e i compagni. E’ vero che le
amicizie cambiano e alcuni bambini preferiscono stare in gruppo più di altri,
ma drizza le antenne se dice cose del tipo “tutti mi odiano” o “sono un perdente”
o “non ho amici”
3. Ha comportamenti regressivi. I bambini tendono a
regredire quando ci sono grossi cambiamenti nelle loro vite, come ad esempio la
nascita di un fratellino o un trasferimento o il divorzio dei genitori. Ma
comportamenti regressivi che non sono collegabili ad un evento o che durano per
più mesi dopo l’evento, (bagnare il letto, eccessiva lamentosità, fare molti
capricci, molte paure) segnalano un problema di gestione emotiva.
4. E’ esageratamente triste e
preoccupato. Considera
questo segnale, se interferisce con la capacità del bambino di andare a scuola
o di prendersi cura di sè.
5.
Le sue abitiudini di sonno e di appetito sono cambiate. I comportamenti da prendere in considerazione, in questo campo, includono
difficoltà ad addormentarsi, o sonno interrotto, incubi; mangiare troppo o
troppo poco, frequentissimi mal di testa e di stomaco.
6.Sta
sviluppando atteggiamenti autolesionistici. Qui è difficile capire perchè a volte I bambini
picchiano la testa contro oggetti senza l’intenzione di farsi male, ma se ad
esempio si ficca le unghie nella pelle per sentire male o si taglia o si fa
male ripetutamente è un segnale da
considerare.
7. Parla della morte o ci pensa spesso. E’ normale se parla della morte per esplorare il concetto,
ma se questo accade ripetutamente è un segnale cui porre attenzione.
Alla fine il genitore è colui che conosce meglio
il proprio figlio, Deve fidarsi del proprio sentire. Se sente che qualcosa non
va e che il figlio sta dibattendosi in qualcosa, probabilmente il genitore ha
ragione. Molti bambini esprimono I
propri sentimenti attraverso il gioco spontaneo, l’arte, il disegno: presta
attenzione a questi momenti per dare un’occhiata alle emozioni di tuo figlio.
E se la cosa non ti lascia tranquillo, contatta per una consulenza uno
specialista dell’infanzia!
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