mercoledì 22 novembre 2023

Le Fiabussole fanno parte di una metodologia di lavoro pedagogico creativo

 Mi sono accorta di dare per scontato il mio modo di lavorare ma, mi fanno notare, devo sforzarmi di raccontarlo alla pari di come racconto le mie fiabe. Tra l'altro è inventato da me, proprio come le mie fiabe!

Che metodo di lavoro è? A cosa si ispira?

Della ispirazione ne ho parlato più volte: nasce dalla mia passione per le fiabe, sbocciata sin dalla prima infanzia ascoltando il mio nonno materno Antonio (un vero fulèr - contastorie - romagnolo). E' stata poi alimentata ed indirizzata in senso professionale durante la mia formazione psicoanalitica col dott. Vittorio Volpi, nel senso che con lui si era iniziato a stendere una parte del protocollo della seduta, e precisamente la rielaborazione dei vissuti dell'operatore, in forma narrativa: e questo portava spesso a degli insight utili per il prosieguo del lavoro clinico.

Divenne quindi il mio modo di lavorare con la diade bambino/genitore omologo, e qui rispondo alla prima domanda: è un metodo che unisce la fiaba e la dimensione del movimento spontaneo e guidato nella coppia genitore-figlio, dove il movimento è utilizzato come amplificazione e approfondimento dei passi salienti della fiaba stessa. La fiaba viene creata da me, in qualità di testimone della relazione primaria, a partire da un momento loro di creazione artistica e da una mia successiva rielaborazione di elementi raccolti nella osservazione e di vissuti controtransferali (questo è spiegato nei miei libri UNA FIABA PERCHE', Bonaccorso Editore e LE FIABUSSOLE, Ericksonlive). 

Cosa racconta la fiaba?

Per ogni coppia genitore-figlio la fiaba coglie un momento particolare della loro relazione, delle fatiche di crescere del bambino e della risorsa che il legame stesso può costituire, per superarle. Parla quindi di protagonisti, eventi critici (ostacoli, prove) di risorse, appunto, e di lieto fine: la fiaba può dare una idea complessiva del percorso di crescita in cui ogni volta, tante volte, si attraversano queste tappe per conquistare sempre nuovi livelli di consapevolezza.

Ma quale è lo scopo di questo lavoro?

Lo scopo è di rafforzare il legame primario come luogo dove poter conoscere e sperimentare le emozioni in modo sicuro e protetto, dove poter conoscere meglio se stessi nelle proprie risorse valorizzandole, e nei propri limiti, imparando ad integrarli in una esperienza di realtà. Questo vale in primis per il bambino, ma certamente anche per il genitore! In questo senso lo scopo è preventivo, ma anche risolutivo di piccole difficoltà, nella misura in cui ciascun componente della diade cresce in fiducia. Ed è proprio fiducia e speranza che le fiabe infondono.

E tu che ci stai a fare?

Io sono un po' una sorta di specchio che restituisce una immagine "3D" della relazione: come testimone rimando loro, tramite la fiaba,  in quale emozione si possono essere imbattuti, in che difficoltà, e quali sono le risorse di cui dispongono per poterne venire a capo. 

E la danzamovimento terapia?

E' l'utilizzo dei movimenti che colgo e cucio in una coreografia personale della diade, per rafforzare la relazione e la sua unicità.

E quanto dura?

Il percorso base dura generalmente in 4 o 5 incontri, di cui uno iniziale e finale di ascolto e poi restituzione alla coppia genitoriale. I due o tre centrali sono il momento in cui viene covata la fiaba, e poi narrata e infine danzata. 





lunedì 31 luglio 2023

Le ferite dei non amati ( che credono di esserlo)

 Devo ringraziare i martellanti messaggi di un signore che mi scrive durante il primo weekend di ferie: è da questa situazione fastidiosa che nasce la mia riflessione odierna ...

Dopo l'irritazione, infatti, mi risuonava dentro la parola URGENZA che campeggiava nei suoi whatsapp. Urgenza di che? Mi sono interrogata. 

E mi sono anche risposta: di essere amato. In quante persone ho rintracciato questo grido dal profondo, che in alcuni poi si smorza o viene contenuto per educazione; invece questo signore è sufficientemente sfacciato e insistente, e non molla: ed è giusto così, l'urgenza di essere amati è un bisogno impellente, da onorare. 

È un' ingiustizia infatti non esserlo, amati, e da qui la rabbia: com'è possibile non essere amati?!? La risposta che ci si dà può volgere in due direzioni distinte: " non sono amabile" oppure "l'altro non sa amare". Se nel primo caso ci si ripiega su di sè un po' vittimisticamente, tristemente, ( e magari si pensa ingenuamente ad una mastoplastica additiva per "risolvere") e si molla la presa e la rivendicazione, nel secondo caso si accampano pretese, richieste, accuse, colpevolizzazioni.

Invece, si potrebbe lavorare sulla domanda: "ma io so amare?" E : " cosa devo fare per imparare ad amare l'altro?"

Quest'ultima domanda purtroppo spesse volte porta a scoprire che si riesce ad amare ( e amare anche ciò che è inamabile, come dice Chesteron: altrimenti non è amore) solo se ci si è SENTITI amati.... e ritorniamo alla casella " e se non sono amabile?". Potrebbe durare a lungo, questo gioco dell'oca.

Ecco perchè mi occupo, anche coi genitori, di "ferite-dei-non-amati" fin dall'infanzia: perchè un bambino che si scopre amabile anche nelle sue parti "brutte" o "inadeguate", nonostante le inevitabili piccole o grosse interferenze che accadono nella vita di tutti, nonostante ciò che di primo acchito parrebbe (anche ad occhi di osservatori esperti, eh: talvolta bisogna proprio scavare per trovare questo tesoro e valorizzarlo), un bambino che riconosce la propria amabilità, dicevo, sarà un adulto che sa amare, che sa guardare con amore ai limiti propri e dell'altro.

È per questo che lavoro di prevenzione. È per questo che sono grata al signore insistente, che prende l'urgenza d'amore sul serio.




giovedì 16 marzo 2023

Ultime dall'abbraccio


Recentemente ho iniziato a proporre il mio lavoro di sostegno alla relazione madre-figlia anche nella fascia adolescenziale.

Con grande cautela e circospezione, perché intanto di adolescenti ne ho già abbastanza in casa (e dei relativi sorci verdi che mi fan vedere ad ogni piè sospinto); eppoi perché si sa che in genere le adolescenti non vogliono farsi tanto abbracciare dalla mamma. Eh ma questo è il metodo Volpiano, quindi stiamo a vedere cosa succede, a proporlo.

Così arriva Asia 17 anni e la sua mamma, e l'abbraccio è uno scoglio: alla mia richiesta di potersi abbracciare tra loro due, Asia fa la recalcitrante, si alza di malavoglia, il contatto con la mamma è posticcio, giustapposto, condito di sbuffi e smorfie. Chiedo loro pazienza, e poi Asia depositerà le sensazioni provate nell'abbraccio sulla sagoma che la mamma le ha disegnato su un grande foglio, tratteggiandole i suoi contorni. Il contorno del corpo di Asia, delineato dalla mamma con un pennarello, diventa il contenitore delle emozioni rese visibili dai colori e tratti che Asia sceglierà via via di lasciare sul foglio.

Dopo qualche assestamento, il procedimento diventa chiaro: si inizia con l' abbraccio, la mamma esce, Asia dà forma sulla sua sagoma a tracce di emozioni e sensazioni che l'abbraccio ha messo in evidenza, e intanto ne parla.

Questo modo di procedere forse in partenza un po' artificioso ci permette però di parlare di stati d'animo reali, con autenticità: Asia non si nasconde a lungo dietro un chiacchiericcio vuoto che apre l'inizio di ogni colloquio, perché lì, sulla sagoma, si vede davvero la rabbia, la vergogna, la tristezza... e ogni volta Asia riesce a cogliere il collegamento tra quello che l'abbraccio le permette di sentire, di contattare, e gli episodi che nella sua giornata l'hanno fatta sentire in quel modo... insomma, come se nel corpo si fossero depositate le valenze emotive delle esperienze, l'abbraccio è a tutti gli effetti un riattivatore di ricordi più o meno vicini e di emozioni ad essi collegati, e ci ragioniamo assieme in modo semplice ma profondo.

Via via che gli incontri proseguono, noto che Asia si lascia andare un po' di più in quell'abbraccio, si appoggia, si abbandona, ed emerge in effetti che lei ci tiene proprio a sentirsi figlia, a trovare uno spazio di esclusività con la mamma nonostante gli altri 4 fratelli lo rendano un po' faticoso!

L'abbraccio è il luogo dove io ho imparato, sin dal mio inizio, a sentire le mie emozioni contenute e quindi significate e superate: e questo vale anche ora, in fin dei conti, anche a diciassette anni, anche se non voglio parlare alla mamma del ragazzo che non mi guarda, delle amicizie che mi deludono, ma anche di quanto a volte io mi senta timorosa e inadeguata e ancora di quanto mi spiaccia per le ingiustizie che vedo in famiglia... l'abbraccio della mamma mi aiuta ad incontrare me stessa e a rendermi incontrabile .

Asia infatti è contenta del suo lavoro, soprattutto la volta che riesce a depositare il segno che rappresenta l'affetto e la commozione... e anche se inizialmente non lo vuole mostrare alla mamma ne parla con orgoglio, perché ha capito le emozioni che a volte dentro di sé diventano troppo intense, o troppo confuse, e lì coi pennarelli e i gessetti e i pastelli a cera prova a districarle, distinguerle, collocarle nelle varie parti del corpo: e così si conosce un po' di più, si riappropria un po' di più di sé, grazie a questo "stratagemma" dell'abbraccio della mamma.

La quale rimane un po' confusa a sua volta, del fatto che la figlia diventi più consapevole di quello che la muove e riesca a parlarne senza fare le solite scenate... piccole donne crescono. Intanto hanno consolidato il rito della colazione al bar loro due assieme, una volta la settimana. 

Che strano, pensa Asia, che per sapere meglio chi sono debba ancora avere bisogno dell'abbraccio della mamma. Eppure la mamma è ancora una base sicura, anche in adolescenza, intanto che si va sempre più lontano e si ritorna sempre più di rado... per trovare conferma, conforto, risposte, sguardi che mi riconoscono e che mi dicono la verità di me. Anche quando non lo vorrei sapere. Anche quando vorrei sentirmi dire cose diverse e invece la mamma è uno specchio talvolta impietoso sui miei limiti, sulle cose che non so ancora governare di me, su quelle che devo ancora lavorarci su.

Gli incontri non sono stati molti, ma stare nell'abbraccio ha permesso ad Asia di ricontattare le emozioni principali nel suo corpo, e quindi di saperne un po' di più.

Ora ha un ragazzo, ed al momento le basta sentire questa emozione.



giovedì 9 febbraio 2023

I DEDI E LA SCUOLA- 2






 Oggi parlo di Francesco.

La domanda di Francesco sulla scuola e su quanto questa propone è sempre stata " che senso ha?". Una domanda di tipo filosofico, a cui la scuola non ha saputo rispondere seriamente, perché non si aspetta di dover rispondere, evidentemente: è lei che normalmente chiede. E Francesco infatti già alle elementari non ne capiva bene il senso, quando mi diceva:   "mamma ma la maestra non sa niente! Fa sempre domande, meno male che gliele diciamo noi, le cose".

Ecco. Era sensibile a colmare le lacune della maestra, perché lui imparava altrove, sui libri, per conto suo: non capiva il senso di strutturare l'apprendimento altrimenti. Che senso hanno le verifiche? Le interrogazioni? I voti? I compiti? Domande filosofiche, e la scuola non capiva che era lui, ad interrogarla... ma certo, poi lui rispondeva alle domande delle interrogazioni perché voleva bene alle maestre, gli facevano evidentemente anche un po' tenerezza. Francesco è un tipo estremamente gentile. 

Alle medie c'è stata una avvisaglia di ribellione, ad un certo punto: visto che nessun docente rispondeva in modo soddisfacente alla sua domanda filosofica, aveva smesso di fare i compiti. Non che non li volesse fare: è che semplicemente voleva capirne il senso.  La scuola allora gli aveva risposto gentilmente e semplicemente " fidati di me, Francesco, capirai". Evabbè si era fidato, gli spiaceva vedere che i prof soffrivano per lui.

Le superiori invece è stata battaglia aperta: i prof non si dispiacevano per lui, e continuavano a non rispondere alla sua domanda filosofica, e non gli dicevano più fidati, come alle medie, ma "peggio per te". Ma lui proprio non ce la fa, se non gli viene testimoniato un senso che lo convinca. 

Per lui ha senso solo l'amicizia e l'amore.

 Infatti per lui gli amici vengono al primo posto: è andato a vedere la maturità dei suoi compagni di classe, quando lui non vi era stato ammesso ("peggio per te" era esitato in questo,  "non ti ammettiamo alla maturità"). 

E poi l'amore: ha deciso di iscriversi all'università ora, perché la sua ragazza evidentemente dà senso alla cosa. 

Lo vedrei bene a filosofia...!

mercoledì 8 febbraio 2023

I DEDI E LA SCUOLA

 I Dedi è il soprannome dei miei figli, un nome collettivo. Sono tre.

Sto pensando che ognuno di loro ha un'esperienza specifica con la scuola e, siccome è uno dei miei temi più approfonditi, ho deciso di fare anche qualche riflessione a proposito proprio come madre.

Dedo è disgrafico dislessico, ma prima di arrivare alla diagnosi della terza media c'è un precedente, forse un evento traumatico che lo spiega? Non sono sicura di poter dimostrare il collegamento, ma si tratta della scuola dell'infanzia.

Era la festa del papà e tutti i bambini avevano un disegnino da portare in dono: quello di Dedo era particolarmente fedele all'immagine paterna... tondetto, capelli ricci, occhiali. Troppo fedele. Davanti alla maestra gli ho chiesto (eh lo so ho sbagliato) :"che bello, lo hai disegnato tu?". La maestra sollecita risponde davanti a lui:" no, l'ho disegnato io: lui disegna troppo male". 

GIURO, CREDETECI.

Ovviamente Dedo da allora non ha più disegnato nulla, tranne per la fine del ciclo scolastico, per la festa conclusiva: ha dovuto, perchè tutti i bambini avevano il proprio disegno appeso tra gli alberi in giardino.

Dedo ci mostra il suo, dal titolo "l'aria non si vede ma c'è". A stento si individuavano sfumature azzurrastre sul foglio bianco. 

Soluzione geniale, non trovate?

È l'ultima volta che ha disegnato a tema libero.