venerdì 25 gennaio 2019

PASSAGGI e la mamma ansiosa


Abbiamo appena festeggiato il passaggio dal vecchio al nuovo anno... volevo 

raccontare come li vivo io, questi passaggi: non importa che sia psicologa, 

sono lo stesso (o forse appunto per questo) una mamma ansiosa.

Mamma ansiosa figlia di mamma ansiosa, e l’ansia si ferma alla generazione 

precedente la mia, penso: mia nonna non l’ho conosciuta, ma credo che la fede a quei 

tempi aiutasse molto bene a gestire l’ansia. Ora che abbiamo gli psicologi e i 

telefonini, forse siamo ancora in difficoltà?

Ecco un esempio su come il telefonino non aiuta (la mamma, pure psicologa) a gestire 

emotivamente il passaggio “dall’abbraccio della mamma al mondo”.

Durante le vacanze di Natale i due maschi fanno una vacanza (uno con gli scout, 

l’altro con l’oratorio). Hanno entrambi il telefonino. Concordiamo che mi manderanno 

dei messaggi, a cui posso eventualmente rispondere, ma non pretendere di avere una 

controrisposta.

Sono brava, mi dico: se dovessi lasciare a briglie sciolte la mia ansia, pretenderei delle 

telefonate e non semplici laconici whatsapp. (Tenete conto che devo sempre gestire 

anche l’ansia della nonna, che a sua volta mi chiede via whatsapp se i figli mi hanno 

inviato i messaggi concordati).

A proposito della laconicità, Francesco rasenta il ridicolo: il suo primo messaggio 

arriva già due ore dopo che è partito, e io non so se essere felice o preoccupata.

“Mi ritirano il cell”. Immediatamente ne arriva un secondo: “lo ritirano a tutti”. 

Eh certo, conosce bene la sua mamma: infatti mi era già partito il fotone “cosa avrà 

fatto per beccarsi subito questa punizione?”. E uno conclusivo: “ce lo ridanno stasera”.

Alla sera poi arriva l’ultimo della giornata: “ora è sera, mi hanno ridato il cell. 

Buonanotte”.

Come faceva mia mamma, che ai tempi della mia adolescenza non esisteva il 

cellulare, non lo so. Forse diceva rosari o si distraeva tirando la casa a lucido.

Io, in questi momenti di transizione dalla partenza dei figli al loro ritorno, vivo in 

apnea. Me ne accorgo dopo, quando ritornano.

Allora mi chiedo di che cosa è fatto questo passaggio, per noi mamme. 

E poi arrivo a pensare che è sempre un lasciar andare, uno spingere fuori, da quando 

nascono.

E tutti i teorici che ho studiato sono lì a sostenere che è per questo, che ci siamo: per 

rifornirli a sufficienza (di amore, risorse, strategie) perché vadano, e per essere lì 

quando ritornano. Magari ammaccati, o semplicemente raffreddati. (Ad esempio è 

inutile dire al Franci di coprirsi, non gli interessa nulla che poi io debba curargli la 

bronchite, cosa che mi stressa tantissimo).

E più siamo brave in questo, più siamo una “base sicura”, più loro potranno inoltrarsi 

nel mondo: allora quando vanno io mi dico “devo essere tutto sommato bravina, se se 

ne vanno spensierati ed entusiasti, no?”.

Questa è una consolazione per gestire il vuoto. Il vuoto che non possiamo illuderci di 

rendere meno impegnativo grazie al cellulare.

La definizione “sindrome da nido vuoto” è di solito adottata in quella fase del ciclo di 

vita famigliare in cui i figli abbandonano la famiglia di origine per crearsene una loro, 

o comunque per seguire e realizzare il proprio progetto di vita.

Forse queste vacanze-senza-genitori sono piccole prove per prepararsi a quel 

momento?

In una alternanza di vuoti e pieni, anche io mamma opero un passaggio, direi di 

consapevolezza: arrendersi alla realtà non riduce del tutto l’ansia, ma me la fa 

sopportare meglio.

E così rispondo ai whatsapp dei figli con l’unica cosa che mi sembra sensata: “ciao tesoro 

ti voglio bene”.



mercoledì 23 gennaio 2019

Chi ha ragione? qualche suggerimento per sopravvivere al braccio di ferro con tuo figlio

Quando ti accorgi che vuoi avere ragione con tuo figlio, sei dentro a un braccio di ferro!
Attenzione, perché questo implica che ci sarà chi vince e chi perde... e se qualcuno perde, è la relazione, il legame, che perde.
E se invece, allora, proviamo a mettere questo legame, questa relazione, sopra di tutto?

Scopriremmo che 
- potremmo anche dire "sai forse potresti avere ragione tu"
- potremmo anche dirci "mi prendo un momento finché non riesco a contenere la mia emotività e reattività"
- potremmo anche trovare un momento migliore, con meno tensione, dove poter confrontarci con nostro figlio sull'argomento che ci ha messo nel braccio di ferro; 
(notate: noi abbiamo un argomento su cui la pensiamo diversamente... il noi è dallo stesso lato, non è messo in discussione, è l'argomento che sta dall'altra parte della barricata)
Se lo troviamo, questo momento, (quindi non a cena, se il braccio di ferro è sul mangiare le verdure!!!) potremmo scoprire che abbiamo la possibilità di costruire assieme una visione della realtà, facendo domande che rendano nostro figlio parte del processo, anche coinvolgendolo (sempre prendendo l'esempio delle verdure) nella preparazione, magari addirittura provando a coltivarle assieme, oppure semplicemente offrendogli una scelta tra due cose: questo lo fa sentire con un po' di potere. 
Del resto, anche se potrebbe sembrare di gestione più semplice, davvero vorrei che mio figlio fosse un mini-me? Un me in miniatura? I figli hanno le loro idee, sensazioni, convinzioni... e ne avranno sempre di più, e sempre più forti, crescendo!
Proviamo a chiederci: come vorrei che mi fosse detto? Non vorrei sentirmi comandata!
Quando Francesco era piccolo, capitava che ci fossero degli scontri (del tipo: non voleva mettersi le scarpe, o spegnere la televisione) e lui, dalla commovente altezza dei sui tre anni, diceva con veemenza: "non voglio!". Ma io avevo trovato che con lui funzionava questa mia risposta semplicissima: "ma IO voglio!". 
Incredibile, ma bastava perché lui ci pensasse un attimo e poi faceva quello che gli era stato chiesto. Questo perché a quella età noi genitori siamo ancora delle semidivinità per i nostri figli; Francesco  non trovava obiezioni al fatto che ero io a volere una cosa. (Ora non è più così...!)

Ricordiamoci: stare nella relazione è più importante che vincere, assicuriamoci che nostro figlio si senta sempre connesso con me genitore; se attiviamo la nostra creatività, troveremo certo qualcosa che ci rispecchia e rispecchia la personalità di nostro figlio, solo se ci ritagliamo del tempo. (gli americani dicono "teachable moment", un momento dove si possa passare un insegnamento)
Validiamo le nostre emozioni, ma anche le loro: chiediamoci come si potrebbe sentire mia figlia in quella situazione, cerchiamo magari di ricordarci noi alla sua età, che emozioni vivevamo. Proviamo ad empatizzare, a comprendere, che non vuol dire giustificare o permettere qualsiasi cosa.
A volte il braccio di ferro lo inneschiamo perché mossi dalle nostre paure: e quindi spesso non vediamo una via di mezzo tra essere rigidi, intransigenti, bloccare tutto, o dal lato opposto dichiararci sconfitti.
Ma loro vogliono crescere, non possiamo bloccarli! E devono crescere in sicurezza, non possiamo arrenderci!
Spesso la via di mezzo è possibile trovarla nel confronto col partner: l'altro genitore è indispensabile per aiutarmi a comprendere le diverse sfaccettature di nostro figlio (qualcuna la vedo io, qualche altra la vede lui), e per il figlio è importante sentirsi visto e pensato da entrambi. 
Inoltre, nel confronto con l'altro genitore, ho la possibilità di cogliere anche aspetti di me (ad esempio in che situazioni sono più reattiva, e di cosa ho bisogno in qui momenti per gestire meglio le mie emozioni). 
E' un lavoro di squadra!