lunedì 31 agosto 2015

Ricomincia la scuola...

Sara sta per andare in terza elementare. 
Le vacanze sono finite: lo si capisce dal fatto che il tempo ora passa molto veloce, la data del primo giorno di scuola si avvicina ad una velocità spaventosa, e poi c'è un accavallarsi di compiti-non-fatti, quaderni-pennarelli-gomme da comprare... 
"Sei contenta?" - le chiede il cartolaio. 
"Si..." - bisbiglia Sara, ma ha un sorriso poco convinto. Certo, rivedrà le amiche, e poi le maestre sono molto simpatiche... Sara fa un sospiro. Sa di essere grande, ormai. 
"Dai, non ti peserà così tanto" - dice la mamma. E così arriva il primo giorno di scuola. Tutti che salutano, le amiche che le corrono incontro, ci si deve raccontare un sacco di cose... 
"Come inizio non c'è male" - pensa Sara. Bastano pochi giorni perché Sara diventi un po' musona e la mamma se ne accorge: "Che c'è Sara ?" 
"Niente" - risponde lei, e se ne va nella sua cameretta. Il giorno dopo la maestra dice alla mamma: "Credo che abbia bisticciato con le amiche per via di alcune biglie..." 
Sara in classe è un po' distratta, fa fatica a mettersi in fila con gli altri, la maestra la deve richiamare più volte perché chiacchiera. 
Un giorno dice a Carlo, un bambino down vicino di banco: "Non ti do la mano e non sono più tua amica". Carlo reagisce graffiandola: la maestra cerca di mettere le cose a posto ma poi si accorge che Sara sta parlando male di questo bambino ad altri compagni. La maestra allora sbotta: "Ma come, allora non sei stata sincera quando avete fatto la pace! Questa è proprio cattiveria!". Sara si mette a piangere. "Non piangere, ora: ne parliamo con la mamma quando ti viene a prendere". 
Sara ha un po' di paura, però, dal tono di voce della maestra sembra che non si tratti di una sgridata... e finalmente arrivano le quattro. La mamma ascolta la maestra, poi chiede a Sara: "Su, dimmi cosa ti pesa: è dall'inizio della scuola che sei diventata un po' triste, scontenta. Puoi parlarmene!". Sara si vergogna, ma sottovoce dice: 
"Ho paura che gli altri bambini non vogliano essere miei amici..." 
"Ma perché no?" - ribatte la mamma -. "Basta che sei te stessa, serena, aperta!" 
"Si, ma loro... ma io..." 
La mamma ha la sensazione che non sia questo il problema e dice a Sara: "Su coraggio! Lo sai che ti voglio bene, che non sei una bambina cattiva!" 
"Oh si che sono una bambina cattiva!" - scoppia a piangere Sara -. "E poi sono già grande, me lo dici sempre, e invece quando sono a scuola mi manchi tanto e la mattina non ti vedo nemmeno perché tu vai al nuovo lavoro presto, mentre io dormo ancora..." 
"Ho capito - dice la mamma - allora adesso facciamo un accordo e lo diciamo anche alla maestra: insieme alla merendina che ti lascio sul tavolo ti scriverò un bigliettino tutti i giorni che non riusciamo a vederci prima della scuola, va bene? Sarà il tuo bigliettino-merenda!" 
A Sara questa idea piace molto, ed è anche rincuorata da una frase della maestra: "Non vergognarti se qualche volta ti manca la mamma: è perché le vuoi bene". 
Il giorno dopo, la prima cosa che Sara fa quando vede la maestra, è sventolare allegramente un bigliettino bianco, piegato, con un cuoricino disegnato sul davanti! Si siede al suo banco, lo apre... ed un bel sorriso le illumina il volto.

L'inizio della scuola è un evento che richiede un ADATTAMENTO EMOTIVO, quindi impegno, energie ed un po' di fatica. Anche se non è proprio il primo giorno di scuola in assoluto, come in prima elementare, anche se si ha già l'esperienza (chi va in seconda, in terza... e così via), il compito rimane: entrare nel ritmo, così diverso da quello estivo. E' normale.
Questo episodio, realmente accaduto (ho sintetizzato gli eventi di un mese) mette in luce come talvolta i bambini vivano questa normale difficoltà come ingiustificata per la loro età. Sara non trovava normale la fatica che provava, visto che era già grande.
Ma il problema, ancora più a monte, di Sara, è il sentire la mancanza della mamma. Anche questa cosa la giudica non appropriata per la sua età, se ne vergogna. Non permettendosi di esprimere questa sua fatica, senso di mancanza e una richiesta di aiuto, Sara finisce dunque per avere comportamenti scontrosi, rabbiosetti. Col tempo, la bambina arriva a dubitare di essere davvero così: scontrosa e rabbiosetta. Cattiva, addirittura. Per cui teme di non essere degna della amicizia altrui.
La situazione di Sara è particolare perché l'inizio della scuola coincide con il nuovo lavoro della mamma e le circostanze impediscono loro un momento in cui cominciare la giornata insieme: però ci possono essere diversi motivi per cui un bambino sente in modo più intenso, in certi momenti, il bisogno di una rassicurazione. La mancanza della mamma è in effetti riconducibile a questo bisogno/richiesta più generale: è il bisogno di essere rassicurata che ce la fa, che davvero ha a disposizione le risorse per affrontare, pur con fatica, la realtà di ogni giorno. La mamma di Sara, scrivendo il bigliettino, aiuta la figlia a superare un momento in cui, per la bambina, è più difficile rendersi conto che è sostenuta da questo amore che le dà energia e fiducia sufficienti per l'impegno quotidiano.

Può darsi che i vostri figli, se leggerete loro il racconto, vi chiedano cosa ci possa essere scritto su quel biglietto. Qui è l'occasione perché la storia diventi su misura, dunque lascio la risposta alla fantasia e all'amore di voi genitori.





giovedì 20 agosto 2015

IV TORNEO MONDIALE DI MICROFIABE

Anche quest'anno, la sfida: 111 parole!

La Fiaba col Guscio che concorre stavolta è LA BAMBINA DI ZUCCHERO, stay tuned!

Il Museo Cambonino, a Cremona, merita proprio una visita, in ogni caso... associazionek-torneo-mondiale-di-microfiabe/


venerdì 14 agosto 2015

gelosia: la questione delle fette di torta

Sul tema “gelosia” ho un altro ricordo, abbastanza divertente, se non fosse per la serietà con cui l’avevano posto i bambini protagonisti del fatto: mi trovavo in una scuola primaria, a raccontare una fiaba a dei bambini di seconda. Nell’ascoltare i commenti successivi alla fiaba, sento che i bambini hanno bisogno di essere rassicurati sul fatto che i loro genitori li amano. Così lo dico: “i vostri genitori vi vogliono bene!”. Un istante dopo, un grido unanime mi sommerge: “ma vogliono più bene a quello più piccolo!”
Ecco: per tutti i non-ultimogeniti, anche quelli in seconda elementare, evidentemente, il problema della gelosia è questo: il timore di essere amati meno, da quando c’è “l’altro”, a favore di quest’altro.
E’ come se i bambini vivessero l’amore dei genitori come una torta, da dividere a fette con gli altri fratelli… quando uso questo paragone, non solo con bambini di seconda ma anche con quelli di tre/quattro anni, tutti mostrano di capire.
E’ vero, rispondo: il tempo della mamma, del papà, non è tutto per te, devi dividerlo con tuo fratello, come devi dividere lo spazio della cameretta. Invece l’amore non sta a questa regola del dividere, l’amore del genitore è SOLO MOLTIPLICABILE (i bambini di seconda capiscono qui a cosa serve la matematica): è come se i genitori avessero una torta intera per ciascuno dei figli.
L’idea della “torta intera” tranquillizza, in fondo è questo che vogliono sapere: che hanno ancora tutto l’amore di prima, tutto l’amore di cui hanno bisogno per crescere. Anche per chi pone ulteriori dubbi dico: “l’amore del papà e della mamma è per te tutta la torta che vuoi”.
Se volete, potete leggere anche ai vostri figli questa semplice fiaba sul tema, creata assieme ad alcuni genitori che ho conosciuto anni fa all’asilo nido di Galbiate:


La pietra magica
C'era una volta il figlio del capo indiano, un ragazzo molto sveglio. Un giorno, ricevette un regalo dai suoi genitori: una pietra magica che brillava nel buio.
Il ragazzo era molto contento di questo dono; un giorno però, si accorse di qualcosa di strano: la pietra sembrava non brillare più . Preoccupatissimo, esclamò: "e adesso, che faccio? Le cose non sono più come prima!". Così si mise a correre, e si sentiva pieno di tristezza e rabbia. Corse, corse finché giunse in un posto che non aveva mai visto sino ad allora: c’era un laghetto azzurrissimo.
Lì, c'era qualcuno che sembrava lo stesse aspettando: era una rana azzurra come il lago, che gli chiese: "Cosa ti capita?". Il bambino rispose: "mi succede che la pietra magica avuta in regalo dai miei genitori non brilla più come prima! Penso che forse è colpa mia, non sono stato abbastanza attento…” 

La rana allora gli disse: "Ne sei convinto? Ora ti dico una cosa che ti aiuterà: questo tipo di pietre magiche riprendono splendore solo se ti concentri e pensi a quando i tuoi genitori te l’hanno regalata”. Il bambino rimase un po' incerto se credere a quella cosa, poi decise che poteva fidarsi: così seguì il consiglio. Infatti chiuse gli occhi e iniziò a pensare a quando aveva ricevuto quel regalo: subito un sorriso gli illuminò la faccia. 
Aprì gli occhi e si mise a correre verso casa. Quando vi giunse, scoprì una cosa incredibile: la sua pietra brillava al buio proprio come prima! Raccontò tutto alla mamma ed al papà, e loro dissero, abbracciandolo : “figliolo, la pietra che ti abbiamo regalato non finirà mai di brillare”.

sabato 8 agosto 2015

Quando "non ti voglio!" vuol dire un' altra cosa...

 Questa storiella si riferisce ad un episodio che mi è capitato veramente, quando raccontavo le mie fiabe alla biblioteca milanese di Cassina Anna...

Martina e' una bambina di sei anni, sveglia, davvero molto intelligente; a casa è diventata un sostegno per la mamma perché c'è Leo, il fratellino di due anni che è un po' un terremoto. La mamma si fida di lei e Martina è contenta di poter fare qualcosa che la fa sentire importante. 
Un sabato pomeriggio vanno tutti insieme a vedere uno spettacolo per bambini e il papa' li accompagna con la macchina. Nella sala c'è già della gente, bambini con i loro genitori o con i nonni: Martina ha un attimo di timidezza e aspetta la mamma che guarda preoccupata e dice: "Forse per Leo stare qui bello tranquillo è un po' difficile... se si agita dovrò portarlo fuori...". Martina si immusonisce: lei avrebbe voglia di seguire tutto lo spettacolo, perché Leo è cosi' un guastafeste? La mamma lo tranquillizza: "Dai, al limite ti lascio un attimo con gli altri bambini, ma io sono subito fuori dalla porta..." La soluzione non piace troppo a Martina. 
Lo spettacolo inizia e Martina e la mamma si guardano divertite: è una bella storia. A meta' del racconto pero' Leo inizia a frignare e a fare i capricci e la mamma lo porta ben presto fuori, per non disturbare gli altri. Martina si fa forza e cerca di non sentirsi arrabbiata... dopo un po' non le fa più ne' caldo ne' freddo che la mamma non sia li' con lei. Anzi, a fine spettacolo, corre sul palco e cerca di prendere il pupazzo che, nella storia, rappresenta la mamma. L'attrice si accorge: "Ma cosa stai facendo?!". Martina non perde la grinta e dice sicura: "Voglio prendere questa mamma. Me la porto via". 
"Oh no - ribatte l'attrice, una giovane signora -, quella mamma li' mi serve, fa parte del mio spettacolo... scusa, ma non hai la mamma?" 
"Ma io ho questa! La mia mamma e' più brutta!" - dice buia Martina e, detto fatto, se ne va via con il pupazzo.  
"Aspetta! Dov'è la tua mamma?" 
"E' fuori" - risponde Martina con lo sguardo basso. 
"Beh, aspettiamo che torni" - dice la signora. 
La mamma infatti arriva. E' riuscita a lasciare Leo al papa' e chiede se lo spettacolo è finito. 
"Si, ma c'è un problema" - risponde l'attrice. La mamma vorrebbe volentieri non averne altri di problemi; quel pomeriggio le sono bastati i capricci di Leo... ma sta ad ascoltare: Martina ha il muso, stringe forte il pupazzo e le volta le spalle. L'attrice le chiede: "Sei sicura che quel pupazzo li' è più bello della tua mamma? A me non sembra proprio...". 
La mamma capisce: "Tesoro, ti sono mancata?" 
"No!" - ribatte Martina, ma ha un po' di pianto nella voce. La mamma l'abbraccia: Martina fa un po' di resistenza, poi si lascia andare e piagnucola piano. L'attrice può riprendersi il pupazzo e tornare dietro le quinte.  
"Su, che ti voglio bene" - dice a Martina portandola fuori.  
"Mi abbracci ancora?" - le chiede la bimba. E la mamma la stringe di nuovo a se'. 
*** *** *** *** 
In questo episodio non e' solo la situazione "gelosie verso un fratellino piccolo" ad emergere: la bambina che ha vissuto questa situazione cova del risentimento per il fatto che vorrebbe la presenza della mamma, vorrebbe magari più coccole dalla mamma, ma non lo esprime.
Da un lato capisce che la mamma in quel momento non può fare altrimenti, per via del fratellino; dall'altro, pero', se la prende proprio con la mamma: "Non la voglio. E' brutta". Ma questo rifiuto e' chiaramente una protesta, una provocazione, e non si manifesta solamente in presenza di un fratello più piccolo: basta che i bambini credano di essere stati trascurati, di aver avuto bisogno e di non aver ricevuto (magari immediatamente) la risposta desiderata, che può scattare il meccanismo. 
Dunque il rifiuto è l'espressione di questa frustrazione, piuttosto che un vero rifiuto nei confronti del genitore. Infatti, basta l'abbraccio della mamma perché la bambina si senta meglio: perché questo abbraccio fuga la paura di non essere amati per quello che si è. Qui inoltre, si inserisce per Martina anche un altro tipo di discorso: "Come! Sono cosi' brava, ti aiuto in casa, e questo non basta per avere il tuo amore, la tua attenzione?!" 
La mamma in realtà ama sua figlia non per questo motivo (sei brava/non sei brava), ma semplicemente perché e' SUA FIGLIA. Martina ha quindi bisogno di essere rassicurata, perché vengano smontate quelle paure di non essere amata e dunque quel sentimento doloroso che sfocia nella provocazione "voglio un altra mamma". 
E' chiaro che la mamma vuole bene ad entrambi i figli, ma anche su questo Martina, pure a modo suo, chiede una conferma. Ed in questo episodio la conferma e' stato l'abbraccio. Che si può dare anche nel caso si avverta una resistenza iniziale: perché, in fondo, è proprio quello che i figli desiderano e di cui hanno bisogno.



martedì 4 agosto 2015

Le fiabe inventate dai bimbi: un'espressione del mondo interiore

Inizio oggi a riproporre alcuni dei miei articoli che sono comparsi, anni e anni fa, sul sito "L'isola dei bimbi"... buona lettura!

C'era una volta un bambino fiducioso, che aveva l'affetto di papà, cane e gatto, ma i fratelli maggiori lo prendevano sempre in giro. Un giorno lo avevano fatto vergognare e lo avevano escluso dai loro giochi, e lui si infuriò talmente, da andarsene via di casa sbattendo la porta, per fare un'avventura. 
Si era portato con sé degli spinaci e del formaggio grana per quando avrebbe avuto fame, e si sentiva allegro di questa sua impresa. 
Sul suo cammino incontrò un ghepardo triste e coraggioso, che gli chiese dove stesse andando: 
"Via di casa - rispose lui - perché i miei fratelli mi prendono in giro ed io non ne posso più".
"Oh, tu sei proprio coraggioso come un ghepardo! - disse l'animale -. Ti prego, portami con te, così forse non mi sentirò più triste e solo!". 
E il bambino accettò. 
Dopo un po' di strada i due incontrarono un verme che si sentiva proprio tale e si lamentava continuamente: "Che verme che sono!". 
Il bambino, per consolarlo, gli disse: "Guarda, non preoccuparti, se vuoi vieni con noi e ti sentirai meno verme: del resto anch'io, che ho lasciato la casa dei miei, mi sento un po' così". 
Ed il verme accettò.
Più avanti i tre incontrarono un coniglio timoroso: "Ma di cosa hai paura tu?" - lo derise il bambino.
"Io ho paura dei cambiamenti, e tu?" - chiese il coniglio.
"Io... ho paura di essere deriso dai miei fratelli: e se tornassi a casa, ora avrei anche paura di essere sgridato dai miei genitori. Ma vieni con noi, non ti spaventare dei cambiamenti, ci siamo noi che ti proteggiamo e ti puoi sentire sicuro". 
E così il coniglio andò con loro. Cammina cammina, i quattro vennero all'improvviso bloccati sul sentiero da un grosso uomo minaccioso:
"Chi sei tu?" chiese il bambino tremante. 
"Io sono l'uomo che fa paura!!!" ruggì il gigante.
Il ghepardo avrebbe voluto assalirlo, ma il verme ed il coniglio erano paralizzati: il bambino pensò in quell'istante che il vero coraggio sarebbe stato tornare a casa... del resto, aveva sicuramente meno paura di essere sgridato che di essere agguantato da questo uomo terribile. 
Così mise il verme e il coniglio in tasca, saltò sulla groppa del ghepardo e, velocissimo, arrivò a casa: il papà capì, lo abbracciò e lo aiutò ad andare d'accordo con i fratelli .

Questa fiaba è stata costruita insieme ai bambini di una quinta elementare, ed ha come oggetto una serie di sentimenti che i bambini hanno portato come presenti in diverse situazioni del loro quotidiano: la fatica, a volte, nell'interagire con gli altri; la paura di essere esclusi e derisi, la stizza; il desiderio di voler fare da soli, di trovarsi delle soluzioni autonomamente, senza chiedere aiuto; la paura di non farcela. 
Nella fiaba i diversi personaggi rappresentano questi sentimenti, che il bambino impara a riconoscere, ad accettare, e di cui può prendersi cura: la possibilità di riconoscere i propri sentimenti, le proprie possibilità, è poi ciò che aiuta a valutare la realtà e a chiedere aiuto all'adulto. E' infatti sì importante che i figli acquisiscano progressivamente un'autonomia nel gestirsi e nell'affrontare le diverse situazioni che si possono presentare, e devono essere sostenuti in questo. Ma è anche legittimo, e quanto mai salutare, che essi sappiano riconoscere quando hanno bisogno di un adulto, e potergli chiedere aiuto. Il rifiuto dell'aiuto genitoriale, che alcuni bambini presentano in maniera sistematica, può essere segnale di difficoltà nel considerarsi degni di attenzione, di ascolto, di amore: ecco che scatta la soluzione "faccio da solo a tutti i costi".
La soluzione che adotta il protagonista della fiaba, quando sceglie di fare da solo, è di rinunciare totalmente al rapporto con i fratelli, di escludersi: una scelta costosa. Solo quando impara a prestare attenzione ai propri stati d'animo, può "tornare indietro" e accettare il rapporto con il genitore, come qualcosa che lo aiuta ad affrontare situazioni complicate (nella storia sono le gelosie e le invidie con i fratelli) sino a quando arriverà a farcela da solo. Ma la situazione che propone il papà è ben diversa dall'esclusione o dalla competizione: il papà propone l'amore, dà fiducia al positivo del bambino. E' questo che veramente promuove autonomia.