sabato 24 dicembre 2016

fiabe di Benvenuto al mondo

In occasione del Natale, ho letto sette fiabe di Benvenuto al mondo, per sette giorni:
le fiabe di benvenuto al mondo sono, anche loro, Fiabe col Guscio. 
Nascono mentre ascolto il racconto di una mamma, di un papà, mentre stanno preparandosi all'arrivo di una nuova vita. Che è quella del loro piccolo o piccola, ma anche, per certi versi, la loro stessa vita diventa nuova, con la nascita di un bambino.
Questo l'ho capito soprattutto con la fiaba che è nata per Ilaria e sua figlia: ho capito che se sono i genitori a dare la vita ad un figlio, è vero anche il contrario! Certamente, ne sono sicura: ascoltate tutta la fiaba, fino in fondo, e capirete...
e intanto, buon Natale: buona nuova vita!
fiaba di benvenuto al mondo

venerdì 4 novembre 2016

Dimmi mamma di me!

Se dico che la mamma è lo specchio che la figlia costantemente interroga, per sapere di sé: vi viene in mente lo specchio di Biancaneve, spietato nel riferire la cruda verità?
No di certo, le mamme non hanno intenzioni crudeli, ma è vero che la figlia riceve dalla madre - solo passandoci davanti, come ad uno specchio - informazioni sulla propria realtà.
Questo accade perché in quella relazione (si chiama relazione primaria non per niente!) non c'è un luogo dove io mi possa nascondere, non c'è possibilità di fingere: io mi rivelo (anche a me stessa) per come sono veramente.
Scorbutica? Magari lo posso mascherare con chiunque altro, ma lì no.
Superficiale, pigra? Come in uno specchio fedele, vedo i difetti che non vorrei vedere.
Ma anche, come in nessun altro luogo, mi vengono restituiti i miei pregi, quelli in cui nemmeno io oso credere... E non venitemi a dire, figlie, "ma non vale, la mamma mi vuole bene, è per questo che mi fa i complimenti!": vi ricordate no, nel Piccolo Principe, "non si vede bene che col cuore"?
La mamma non può farci niente: è l'essere-in-relazione con lei, che mi rimanda la verità di me stessa, nella sua scomodità e nella sua bellezza.
Ho diversi esempi di madri e figlie che hanno fatto un pezzetto di strada con me:
Figlie che hanno avuto bisogno di fidarsi, di appoggiarsi, di riconoscersi. In quel legame. Madri che se lo sono ripreso in pieno, il proprio ruolo in quel legame.
Ultimamente sto lavorando con una mamma ed una figlia che hanno avuto bisogno di uno spazio apposito, dedicato a loro, e sono state brave perché se lo sono preso!
Nelle danze che faccio fare loro, vedo la figlia di dieci anni che va sicura, tende a dettare lei il ritmo, la direzione: più a fatica accetta di seguire, di farsi portare, ma poi si vede che qualcosa lascia andare, si rilassa.
In questo lavoro emerge una curiosità della figlia a sapere di sé, è la cosa che mi colpisce maggiormente.
"Dimmi chi sono!" chiede avidamente: "come sono stata da piccola, cosa facevo, perché litigo con mia sorella?" e, nel movimento: "dove è il mio confine, che limiti mi dai, dove inizio, dove finisco, c'è un posto tutto per me vicino a te o devo lasciarlo ai fratelli? E come faccio a passare da una postazione all'altra, senza perderti?"
E la mamma risponde. Semplicemente stando, col suo corpo: a volte dicendo qualcosa, ma non sempre. Stupita, anche lei, di quanto si giochi lì dentro nella loro relazione, dell'identità di sua figlia. Stupita anche lei, che non serva una mamma perfetta, a sua figlia. E' proprio lei, che serve: e questo basta. Anzi non si pone proprio il problema quantitativo: è lei, solo lei, la mamma. Così com'è.
Rimane una incertezza, negli occhi della figlia, che la cosa funzioni proprio così.
Rimane una titubanza, negli occhi della mamma, che la cosa funzioni proprio così.
Ma siamo solo all'inizio del percorso, e ci stanno prendendo gusto. Vi farò sapere come prosegue...

lunedì 15 agosto 2016

emozioni dal giorno uno!

Riporto qui alcuni stralci tradotti dal lavoro della pedagogista Claire Lerner, sulle emozioni del bambino e su come aiutarlo a gestirle:

Sin dai primissimi mesi di vita, ben prima che possano usare parole per esprimersi, i bambini hanno la capacità di esperire picchi di gioia, eccitazione, ma anche sentono paura, dolore, tristezza, disperazione e rabbia - comprensibilmente molti adulti trovano difficile da accettare che un bambino così piccolo possa provare tali emozioni. La ricerca ha anche mostrato che l'abilità dei bambini di gestire efficacemente la propria intera gamma di emozioni (conosciuta come auto-regolazione) è uno dei più importanti fattori di successo a scuola, al lavoro, e nelle relazioni a lungo termine.
Così un primo passo nell'aiutare tuo figlio a gestire i suoi sentimenti non è il temerli, ma accoglierli - tutti quanti. Le emozioni non sono giuste o sbagliate, semplicemente ci sono. Tristezza o gioia, rabbia e amore, possono coesistere ed essere parte della collezione di emozioni che i bambini sperimentano. Quando aiuti tuo figlio a comprendere le sue emozioni è meglio equipaggiato per poi effettivamente gestirle.
Uno dei maggiori ostacoli nel fare ciò - e lo riscontro spesso nel mio lavoro con i genitori, è che questi operano sotto il falso assunto che avere figli felici significa che devono essere felici tutto il tempo. Attraversare esperienze difficili, venire a capo di tristezza e dolore costruisce resilienza, ed è in ultimo ciò che dà ai figli un senso di contentezza e benessere.

Cosa possono fare i genitori?

Iniziando dai primissimi mesi, sintonizzarsi con i suoni, le espressioni facciali e i gesti del bambino rispondendo con sensibilità, così che i bambini sappiano che le loro emozioni sono riconosciute e considerate importanti. Emozioni come rabbia, tristezza, frustrazione e contrarietà possono essere stravolgenti per i piccoli. Nominare questi sentimenti è il primo passo nell'aiutare i bambini ad identificarli, ciò comunica loro che questi sentimenti sono normali. Questo può significare il riconoscere la rabbia di un bambino di un anno e mezzo nel lasciare il parco giochi, mentre lo si aiuta ad entrare in macchina; confermare la frustrazione di un bambino di due anni quando la sua torre di costruzioni continua a cadere; oppure empatizzare con la tristezza di un bambino di tre anni quando i nonni se ne vanno dopo una visita.
non aver paura delle emozioni
Le emozioni non sono il problema. E' ciò che ci facciamo - o non facciamo - che può essere problematico. Allora ascolta apertamente, con calma, quando tuo figlio condivide emozioni difficili. Quando fai domande a proposito e riconosci queste sue emozioni, stai mandando l'importante messaggio che le emozioni HANNO VALORE, SONO IMPORTANTI. Riconoscere e nominare le emozioni è il primo passo per imparare, nel tempo, a gestirle in modo sano ed accettabile.
C'è una reazione naturale - noi semplicemente vogliamo che i sentimenti faticosi se ne vadano. Non essere triste, vedrai il tuo amico un altro giorno. Ma le emozioni non vanno via, hanno bisogno di essere espresse. Riconoscere le forti emozioni di un bambino apre la porta all'aiutarlo nel gestirle. Sei triste che il tuo amico debba andare a casa sua ora. So che ti piace tanto giocare con lui. Andiamo alla finestra a salutarlo e organizziamo di rivederlo presto. Se le emozioni sono minimizzate o ignorate, vengono spesso espresse attraverso parole e gesti aggressivi, oppure vengono rivolte all'interno, rendendo il bambino ansioso o depresso.
Mostra a tuo figlio che una vita piena e ricca significa fare esperienza sia di momenti belli che meno belli. le emozioni non sono buone o cattive, semplicemente ci sono. Tu sei la guida di tuo figlio nel condividere gioie e gestire le sfide. E tutto inizia dal giorno uno!
Le Fiabe col Guscio aiutano a nominare queste emozioni: leggi quelle pubblicate, o vieni ai nostri laboratori per crearne una adatta alla vostra situazione!

domenica 19 giugno 2016

papà e figlio

Ieri con Leila abbiamo concluso il percorso con bambini e genitori "e se mi emoziono?", da cui sono nate due nuove Fiabe col Guscio: "Piccolo Asteroide" e "Folletto Acrobata". Questa volta sono stati i bambini ad illustrarle, con l'aiuto anche dei loro papà.
In attesa di pubblicazione, le due fiabe andranno intanto, per ciascun bambino, a far parte di quel tesoro di ricordi, così importante per un figlio, soprattutto nei momenti critici che la vita normalmente riserva...

Ma volevo raccontare qui due riflessioni che ho maturato negli anni, durante le mie testimonianze alla relazione primaria padre/figlio:
ogni volta riscontro che i padri di maschi arrivano agli incontri preceduti da una "fama" che non rende loro giustizia... Dai vissuti che raccolgo in "anteprima", infatti, quando sta per arrivare l'incontro col papà temo sempre che sia faticoso, mentre poi sono puntualmente sorpresa dalle risorse e dalla attenzione e dalla generosità e dalla cura che questi "giganti buoni" ci mettono, nella relazione col proprio figlio!

Come può accadere questo?
Perché mi arriva una immagine così distante dalla realtà, fortunatamente poi smentita dai fatti?
Non voglio fare dei facili commenti sulle mamme scoraggiate, magari anche arrabbiate; non credo che origini da loro l'immagine svalutata del padre, è che loro fanno eco ( a volte pure amplificando) alla paura dei figli maschi di non poter accedere al rapporto con il loro omologo, magari anche di non sentirsene degni. La paura e lo scoraggiamento poi, non di rado generano rabbia e svalutazione.
La mia ipotesi di lavoro (ma tutti i colleghi che lavorano con l'approccio del "genitore omologo" confermano che è più di una ipotesi) è che le mamme diano voce ad una fatica e ad un timore dei figli maschi, i quali hanno contro anche condizioni ambientali avverse (il papà ha meno tempo a disposizione, l'ambiente educativo femminilizzato lo marginalizza).
Però, se la situazione non è troppo cristallizzata in un "non-accesso emotivo" alla figura paterna, questi maschietti possono  recuperare il legame, stupiti di sé e del benessere che possono provare, tanto quasi da ammutolire.

Questa è proprio l'esperienza che ho avuto anche stavolta:
ad esempio, il bambino della fiaba "Piccolo Asteroide" ha ascoltato a bocca aperta il papà raccontare la propria storia di quando era a sua volta bambino. E si è portato a casa, oltre al collage fatto assieme, il tesoro dell'aver condiviso col papà anche il gioco semplice del mettersi un po' di colla sulla mano, per vedere che effetto fa togliersela, una volta asciugata!
Invece, il bambino per cui ho scritto la fiaba "Folletto Acrobata", quasi è stato spiazzato dal constatare quanto lui e suo papà possano essere una bella squadra: sia nell'inventare camminate di animali, sia nel creare un collage molto ricco di particolari interessanti.

Posso concludere con una cosa: bambini, fidatevi del vostro papà, lui sa come siete, vi vuole bene!
(e anche, sottovoce: mamme, fidatevi del suo modo "maschile" di conoscere vostro figlio, è un maschio come lui! )




mercoledì 15 giugno 2016

figlie e... mamme che lavorano

copioincollo qui un articolo che avevo scritto per "Pillole di zucchero", ma poi è di ieri il post su Facebook di Silvana De Mari, a proposito del ruolo della donna... https://www.facebook.com/silvana.demari.5/posts/1721246031456544 e allora scusa a Pillole ma lo metto qua!

Le mamme che lavorano sono quelle che lavorano fuori casa, ovviamente: perché in casa lavorano gratuitamente, quindi non è un lavoro. Non possono nemmeno dire che sono “volontarie della Caritas – Crocerossa  – mensa dei poveri”, che farebbe più nobile: no,  quello che fanno in casa (e lo fanno, più o meno bene: ma non è richiesta la perfezione) loro lo fanno e basta. Una scrittrice che stimo molto, Paola Belletti, dice che si tratta di “vocazione”, ovvero qualcosa che non rientra nelle logiche di mercato: ma non fatevi ingannare, non vuol dire che non ha valore. E’ che non ha prezzo.
Finito il tono ironico - polemico.
Io sono una mamma che lavora.
Quello che riesco a fare in casa è visto con tenera compassione. Anche quello che faccio fuori casa, a dir la verità: perché il mio contributo economico alla famiglia è derubricato ad “arrotondamenti”.
Ma ho detto che avevo terminato, col tono polemico.
Scusate.
Dicevo: sono una mamma che lavora. Mi piace fare il mio lavoro di pedagogista e psicologa, così come anche il lavoro di casa, dà le sue soddisfazioni. Col tempo, però, ho trovato (ho dovuto trovare) dei compromessi:  sono su misura per me, nemmeno per tutta la mia famiglia, ma va già bene così.
Compromesso numero uno:
se qualcuno vuole fare qualcosa che io ho lasciato indietro nei lavori di casa, NON sarà criticato. Anzi.
Una conseguenza, a caso, di questo compromesso, è che a casa mia si scorgono vagabondare, con aria smarrita, alcuni ninnoli dell’albero dello scorso Natale, ma anche della Pasqua di qualche anno fa. Il lavoretto della quinta primaria di Francesco, è un esempio: un bellissimo ovetto di polistirolo completamente ricoperto di paillettes fissate con spillini piccolissimi.
No comment. 
Ho detto che NON criticherò. 
Ma nemmeno mi si critichi la mia esitazione nel trovare un posto a tutto.
Compromesso numero due:
il lavoro che faccio è quasi totalmente compresso nell’orario scolastico dei figli, oppure nell’orario di sonno e riposo canonici.
Sono arrivata faticosamente a questo risultato dopo che Emma, ancora alla scuola d’infanzia, ha inventato una canzoncina mentre giocava con le bambole, a casa di mia mamma. Quest’ultima me l’ha prontamente registrata e impietosamente fatta ascoltare al mio ritorno, il testo è il seguente:
“Devo lavorare,
non posso farci niente!
Mi dispiace tanto,
ti devo lasciare
sennò non posso lavorare!
E io lo devo ASSOLUTAMENTE FARE!
Sono molto occupata,
devo andare via,
forse giocheremo, dopo in compagnia!”
(La melodia valorizza adeguatamente il testo).
Quando Emma ha visto la mia reazione di annichilimento, si è subito affrettata ad inventarsi una ulteriore strofa: “e ora sono tornata, mangeremo l’insalata, ci daremo una abbracciata…” meno convincente, non trovate anche voi?
Comprenderete, col mio lavoro di pedagogista e psicologa non posso predicare bene e razzolare male: la bambina aveva espresso creativamente una propria frustrazione. Dovevo farmene carico, o non ero più credibile.
Così non tengo più conferenze alla sera, e al pomeriggio vado solo a riunioni di classe o a impegni vari dei figli.

Spesso non vengo capita.
Spero da voi sì!

Piccolo sequel di figlie di mamme che lavorano:
ho registrato la canzoncina di Emma che, per l'occasione, si è degnata di migliorarla ... 

mercoledì 13 aprile 2016

figlia e mamma

"Vorrei chiedere una cosa alle figlie": detta così, durante il laboratorio creativo per madri e figlie, sembrava una domanda per la ottenne e la tredicenne partecipanti in quel momento. 
Invece era per tutte le presenti. 

Per le figlie non è di immediata comprensione che le loro mamme sono figlie, a loro volta.
Questa intuizione mi ha folgorato quando, in una delle prime situazioni che seguivo dopo la specializzazione in psicoanalisi della età evolutiva, la figlia quattrenne si era rivolta sorpresa alla madre: "mamma, ma la tua mamma ti vuole bene anche se sei grande?" (questo l'ho riportato anche in un mio vecchio articolo, "love me forever" ).

La domanda che volevo rivolgere loro era: "ma quando qualcosa non va come vorreste e vi arrabbiate, con chi vi arrabbiate? a chi date la colpa?"
Poteva essere una domanda difficile, ma la figlia ottenne che si era appena arrabbiata perché la ciotola di creta non le veniva come voleva, ha risposto ridendo: "con la mamma!"
Le mamme presenti hanno annuito. Un ricordo avrà attraversato le loro menti, forse un ricordo nemmeno troppo lontano.
A chi affidare il peso della nostra frustrazione, delusione, irritazione, impotenza, soprattutto se queste nascono dalla constatazione del nostro stesso limite, se non addirittura fallimento? 
Chi potrebbe reggere tutto questo, se non chi ci vuole bene più di tutti? Nessun'altra. 
E se anche lei non volesse stare a questo gioco, noi figlie ci proviamo, a fare le nostre rimostranze verso di lei, che riteniamo responsabile praticamente ogni volta che la realtà si rivela impietosa con noi.
Ma la mamma sta, "stabat mater". E stare lì con noi fino in fondo a quella emozione difficile, è l'unica cosa che ci permette di venirne fuori.

Faccio sempre notare alle mamme, ma anche ai papà, il passaggio cruciale in cui il figlio mostra di aver governato l'emozione: bisogna un po' allenare l'occhio, ma la cosa risulta evidente. Ce l'ha fatta.
Non bisogna aggiungere nulla di più, né gesti né commenti: ce l'ha fatta perché ha visto che tu sei stato lì con lui, con lei, che hai tenuto quella emozione.

Le mamme del laboratorio hanno così pensato a sé anche come figlie; forse hanno anche pensato alla fortuna delle proprie figlie, che hanno questa occasione di cogliere, nel momento creativo, delle indicazioni importanti per orientarsi. Ma credo che, se sono arrivate fin qui con le loro figlie, è perché già hanno saputo fare tesoro di quanto hanno ricevuto a loro volta, poco o tanto che sia stato.

Dal laboratorio ho visto uscire, quel pomeriggio, mamme pensose ma più sicure; figlie tranquille e più fiduciose.



sabato 19 marzo 2016

Il papà è meglio dei Pokemòn!

Oggi per la festa del papà condivido qui alcuni estratti del mio articolo che potete trovare integrale su academia.edu

"...Questo mio scritto raccoglie e testimonia un ciclo di incontri che ho tenuto per sostenere e rafforzare la relazione tra un papà ed un bambino di 10 anni: il desiderio è di provare a raccontare il mio modo di lavorare, attraverso la narrazione di una storia che mi ha coinvolto ed emozionato, un percorso in cui ho accompagnato passo passo questo bambino ed il suo papà ad essere più consapevoli della enorme risorsa che è il loro legame.

Passiamo dunque ai fatti: S. mi viene inviato da una collega che segue i genitori dal punto di vista del loro compito educativo; questi mostrano infatti di essere piuttosto in difficoltà col  bambino, primogenito di due maschi, che presenta una certa riluttanza ad ogni richiesta sia a casa che a scuola; S. inoltre è molto coinvolto nei suoi giochi elettronici, che di fatto lo isolano e lo risucchiano in un mondo a sé.
Faccio quindi un colloquio di conoscenza coi genitori, che mi presentano un po’ la situazione, e propongo loro di vedere il bambino assieme al papà (pur aggiornando la mamma periodicamente del lavoro) per una serie di incontri con l’obiettivo di comprendere meglio gli elementi della relazione e aiutarli ad attivare strategie più efficaci dal punto di vista della comunicazione, per cercare di produrre un cambiamento a favore di una maggior “presenza” del bambino alla relazione stessa. Ipotizzo che questo abbia ricadute positive anche in ambito scolastico, come poi di fatto si verificherà.

Racconterò ora del percorso svolto e di alcuni passaggi salienti, messi in luce o favoriti da fiabe e giochi di movimento che hanno coinvolto padre e figlio.
(...)

S. inizia a parlare dei suoi Pokemon: ha portato davvero una montagna di carte.
Il suo primo disegno in seduta è di una serie di Pokemon raffigurati con tratto approssimativo; leggo il nome di un personaggio “fossilcranio”, e “scudo”. Come vissuto controtransferale, mi annoio moltissimo nell’ascoltare tutte le informazioni su queste figurine.
La cosa positiva che comunque osservo, è che  il papà riesce a calmare con pochi gesti l’irrequietezza motoria di S. che emerge in alcuni tratti della seduta, pur rimanendo tutto il tempo sulla poltrona.
(...)Il tema che le figurine introducono è in realtà molto interessante, perché il gioco è governato da un meccanismo di evoluzione (S. precisa che si tratta di evoluzione e non trasformazione, perché non si può ritornare indietro). 

(...)Dopo una danza in cui padre e figlio rappresentano, col movimento, dei Pokemon a due livelli differenti di evoluzione, S. dice “l’evoluzione deve rispettare dei passaggi, dei tempi. Il segreto della forza non è nella velocità, è nell’esperienza”.
(...)
Inizia qui una danza spontanea di padre e figlio, dove il papà solleva il braccio “molle” del figlio e gli dà una “scossa” vitale.
Questa danza diventa il punto centrale delle coreografie spontanee e ripetute appartenenti a questa diade, è il punto più carico di significato e di pathos del loro pas-de-deux: per me, testimone, è palpabile l’intensità dell’affetto, la fluidità nel passaggio, dal padre al figlio, di una energia che anima e che attiva.
E’ da questa energia ricevuta che S. si può rialzare e procedere nello spazio, con le spalle dritte in una direzione precisa, e poi si volta verso il padre sorridendo con uno sguardo che significa gratitudine e conquista di una certa autonomia di movimento e di scelta: è qui che S. propone dei movimenti al papà il quale a volte ripete divertito, a volte semplicemente guarda. E S. si sente finalmente guardato, e si lascia guardare senza più troppo temere di sentirsi giudicato. (...)
S. non ha più portato i suoi Pokemon in seduta.
Alla mia domanda circa il nuovo corso lui risponde “non ho più bisogno di portarli qua”, quindi riconosce che in seduta riesce ad entrare in contatto con qualcosa che lo “riempie”, funzione svolta dai Pokemon altrove.

Nei suoi disegni, (sempre schizzi sommari) sono via via meno presenti i suoi Pokemon ed inizia una nuova fase dove S. si ritrae assieme al papà: nei primi si vede il papà o lui cancellati, poi lui si ritrae con una testa a forma di cuore. 

domenica 13 marzo 2016

AIUTIAMO I BAMBINI A GESTIRE LA FRUSTRAZIONE

Ultimamente arrivano da me molti genitori che mi descrivono, preoccupati, alcuni atteggiamenti dei loro figli: dopo qualche domanda, emerge chiaramente che i comportamenti in questione (crisi isteriche, picchiare, mordere, lanciare gli oggetti, buttarsi per terra) hanno più o meno tutti a che fare con un intollerabile sentimento di FRUSTRAZIONE.

Iniziamo intanto, con l'aiuto di una psicologa di Los Angeles, Katie Hurley, a capire quali sono le cose che innescano la frustrazione, perché ogni persona (anche noi!) è vulnerabile a qualcosa in particolare, ad esempio:
- le transizioni (il bambino va in crisi quando da casa deve andare a scuola, dai giochi a nanna, dai giardinetti a casa...)
- le interazioni coi pari percepite come negative (mi prende un gioco; non riesco a prendergli un gioco...)
- sfide "prestazionali" (tagliare con le forbici potrebbe essere molto frustrante!)
- sentirsi fraintesi, non compresi dai pari o dagli adulti
- mancanza di controllo
- fame
- stanchezza
- eventi imprevisti

Avete già individuato quale tra queste cose potrebbe scatenare maggiormente la frustrazione in vostro figlio? Bene, i prossimi passi possono aiutare a coinvolgerlo in una migliore gestione:

- fare con lui una lista delle cose che lo fanno arrabbiare: mostrare empatia (es.:"Oh, anche a me questa cosa fa innervosire!) e poi invitarlo a strappare in pezzettini quel foglio, lanciandoli in aria
- insegnare a respirare profondamente: questo è un esercizio da farsi quando si è entrambi calmi, bisognerebbe contare fino a quattro per l'inspirazione, tre nel trattenere il fiato, quattro per l'espirazione. Katie Hurley suggerisce una visualizzazione, per ogni respiro fatto così immaginarsi un colore dell'arcobaleno che percorre tutto l'arco.
- gioco del semaforo: aiutarlo a riconoscere quando l'emozione è molto forte, c'è il ROSSO, bisogna cercare di non fare niente, di tenere ferma l'emozione; (magari fare la respirazione imparata) quando l'emozione diminuisce, il semaforo diventa GIALLO: qui la domanda è "cosa posso fare? chiedo aiuto? vado in bagno a rinfrescarmi?") quando passa, naturalmente c'è il VERDE!
 - fare una "mappa corporea": si può disegnare (o stampare ) una sagoma corporea e chiedere "quando ti arrabbi, dove la senti la rabbia nel corpo? coloriamo questa parte di rosso?" .

Imparare a "sentire" cosa accade nel corpo quando si prova la frustrazione e le altre emozioni è importante: aiuta a non farsi sovrastare e travolgere, è come riconoscere un luogo, un percorso, e sapere come se ne può venire fuori. E' fondamentale fare questa esperienza col genitore: fin da quando siamo nati, infatti, è proprio dentro il loro abbraccio che abbiamo sperimentato, di ogni emozione, sensazione, CHE PASSANO. E lì, dentro l'abbraccio, possono accadere e andarsene, senza mandarmi in pezzi.

Questa esperienza, ripresa in modo creativo con fiaba, danza e arte, la riproponiamo per genitori e i loro bambini della scuola dell'infanzia, nel laboratorio "E se mi emoziono?" a Spazio per me: il primo appuntamento è domani, lunedi 14 marzo ore 17.00!


venerdì 26 febbraio 2016

marzo, premium Genitori!

caro genitore,

durante tutto il prossimo mese di marzo, se acquisti due libretti a scelta delle Fiabe col Guscio, 

puoi prenotare una consulenza gratuita con la pedagogista e psicologa Elena Rovagnati!


Ecco come fare:

1. vai a dare una occhiata alla mia vetrina su lulu ,troverai i miei libretti di fiabe

2. Scrivi a elena.rovagnati@teletu.it i titoli dei due libretti che vuoi prenotare, e chiedi di essere ricontattato per fissare la consulenza (basta che mi scrivi entro marzo, la data della consulenza può essere anche successiva)

3. Il giorno dell'appuntamento concordato, potrai pagare e ritirare comodamente i due libretti che hai prenotato.


Le Fiabe col Guscio nascono dall'esperienza e dagli incontri con tanti bambini ed i loro genitori, 
ciascuna parla di una particolare criticità che il protagonista riesce a superare grazie alle risorse che trova nel legame primario.
Potrai leggerle a tuo figlio, tua figlia, ogni volta che sentirai necessario affrontare un tema educativo in modo piacevole ed efficace.
Sono tutte fiabe "ad hoc" e continuano a nascere, ogni volta che incontro una mamma e una figlia, un papà e un figlio, alle prese con piccole/grandi sfide... garantito il lieto fine!



martedì 2 febbraio 2016

madri e figlie, abitare il legame

Sabato 6 febbraio inizia a Spazio per me un percorso con strumenti creativi dedicato al legame tra madre e figlia: per riscoprire la risorsa di questo legame, rispecchiarsi e valorizzare la bellezza che c'è...

Ecco, il primo incontro ha lasciato dei ricordi che ora voglio condividere:

ho visto mamme e figlie danzare assieme, ognuna la sua danza, e queste si intrecciavano in una forma ricca, piena, abitata:
i sei lati del mondo venivano attraversati con gesti densi di significato e di storia
e ad ogni gesto ho sentito CI SONO, CI SEI. SONO QUI PER TE, SEI QUI PER ME.
Ho visto una bambina piccola che poi è diventata grande
ho visto un sapere che veniva tramandato
ho visto il nuovo che si inseriva nello sperimentato
ho visto il dono
e l'accogliere quel dono
ho visto le titubanze
e la pazienza e l'accoglienza
ho visto il divertimento
la sorpresa
la fatica
e ad ogni emozione ho visto che erano in DUE
vicine e lontane
veloci e lente
aperte e chiuse
ho visto GLI SGUARDI che percorrevano una mappa invisibile e nota
e ho sentito commozione
e gratitudine

giovedì 7 gennaio 2016

tuteliamo e valorizziamo i bambini sensibili


Riprendo qui un mio articolo pubblicato tanto tempo fa sull'Isola dei Bambini (i bambini di allora saranno a loro volta dei giovani genitori, ormai!) perché ora posso aggiungere esperienza e confermare, a partire da quanto incontro anche oggi nelle mie consulenze ai genitori, quanto ai tempi già registravo a scuola, nei laboratori che tenevo di "educazione al mondo emotivo"....


"... la vita scolastica, con le richieste di attenzione, impegno, responsabilità, eccetera, fa vivere al bambino un carico di tensioni sia proprie, sia dovute alla presenza di compagni con disturbi psicologici.
Parlo qui di bambini fondamentalmente sani, quindi sensibili, i quali, proprio per la loro sensibilità, diventano tramite di esternazione del malessere dei compagni che hanno un disagio più profondo. 
Sono quei bambini di cui si sente la maestra dire “non capisco, di solito è tranquillo, sereno, eppure oggi…” oppure“però ha dei momenti in cui …”
Eppure oggi, magari, ha risentito maggiormente della vicinanza del compagno con disagio, per esempio; “però ha dei momenti in cui” le proprie risorse emotive (la sicurezza dell’essere amato, la fiducia in sé) sembrano essere sovrastate dal disagio altrui, quasi a diventare proprio. 
Il rischio è che questi bambini si “attirino” una bella etichetta: "instabile", "emotivo" o altro; il rischio è che si inneschino meccanismi allievo-insegnante che si autoalimentano, in un giro vizioso di “profezie che si autoavverano”.

Ci accorgiamo di questi bambini sensibili quando andiamo nelle scuole a raccontare fiabe che parlano dell’amore dei genitori: sono bambini che, dopo una eventuale resistenza, diffidenza iniziale nell’accogliere il messaggio della fiaba, li vedi sorridere, come se avessero ritrovato qualcosa
Fanno domande, si accertano che l’amore del genitore è sempre presente, anche lì a scuola; poi raccontano ricordi, episodi che vanno a confermare questa loro esperienza di amore. 

Se basta una fiaba, vuol dire che questa cosa non era persa o dimenticata lontano: sono in grado di riconoscere e ripercorrere la strada per sentirsi bene, al sicuro, superando le difficoltà quotidiane. 

Cosa sarebbe allora, in termini di prevenzione del disagio scolastico, se le maestre puntassero di più sulla conferma del rapporto affettivo che sostiene il bambino? 
Cosa sarebbe, se sostenessero e valorizzassero i genitori nel loro ruolo educativo? 
Sicuramente, i bambini sensibili ne beneficerebbero immediatamente.