Oltre a raccogliere più informazioni sulla loro storia, mi accorgo che durante questi colloqui mi ritrovo a dire spesso queste cose:
- il bambino è mosso dalle emozioni, talvolta così intense da non riuscirle a contenere: è il genitore che deve funzionare da contenitore, (la corteccia prefrontale, ovvero la parte razionale, si sviluppa completamente solo verso i vent'anni!) incontrando il figlio lì in quella emozione faticosa, nominandogliela (ad esempio "certo sei proprio arrabbiato, mi spiace, capisco... sto qui finché non ti passa") e magari, successivamente, suggerendo una via d'uscita...
-Il genitore può recuperare alcuni episodi della propria storia e raccontare al figlio come è uscito lui, da quel "labirinto": non c'è nulla di più interessante per i figli della storia dei propri genitori! Con questo bagaglio di esperienza "ereditata", che rafforza il senso di identità e di appartenenza, affronteranno la realtà. Si possono recuperare anche delle foto di quando mamma o papà erano piccoli, per raccontare! Si può chiedere ai nonni... magari concordando lo scopo del racconto!
- Affrontare la realtà è una impresa, per un bambino di tre/quattro anni: il genitore è MAESTRO DI REALTA' e, come sminuzziamo loro il cibo, così possiamo rendergliela altrettanto più accessibile e "digeribile", spiegando cosa sta accadendo, cosa sta per accadere, rassicurandolo.
Finché il figlio non possiede la cognizione del tempo, faticherà a vivere i passaggi, le transizioni: dal letto alla scuola, dal gioco alla cena, dalla televisione al mettere il pigiama, per non parlare dell'addormentarsi! Questi passaggi sono fatiche meglio affrontabili, se sento miei alleati il papà, la mamma, in questa battaglia.
- Affrontare la realtà da soli, quella della scuola d'infanzia, è molto complesso: tante cose da capire, regole da rispettare, compagni con cui interagire, altri adulti da ascoltare... a volte non ce la si fa! Soprattutto la cosa che succede è che, in assenza della mia figura di riferimento, della mamma e del papà che mi amano, davanti ad una difficoltà io mi smarrisco: mi sento sparire, andare in pezzi, (avete presente il terrore del biscotto spezzato? Riguarda questa cosa!); mi manca lo sguardo d'amore che mi "tiene insieme" e mi fa esistere.
Per questo suggerisco che i bambini tengano sempre in tasca del grembiulino un fogliettino di carta, sul quale mamma o papà abbiano disegnato un cuoricino, una faccina: è uno strumento di emergenza da recuperare quando io figlio sento di aver bisogno di loro, di sapere che questo legame esiste e mi fa esistere.
Quando ho detto a questi due genitori quest'ultima cosa, il papà dice: "è vero, c'è bisogno di ossigeno ogni tanto", allora io preciso: SIETE VOI IL SUO OSSIGENO, E' IL VOSTRO AMORE.
Per me bambino è vitale, riossigenante, ricordarmi attraverso un oggetto concreto (il foglietto che mi hai lasciato tu mamma, tu papà) che IO ESISTO PERCHE' SONO AMATO!
La rassicurazione riguarda essenzialmente questa cosa: "la mamma ti vuole bene, il papà ti vuole bene, ce la puoi fare".
Questa frase la possono dire ovviamente anche le maestre, che talvolta per questioni logistiche fanno mettere negli armadietti i cosiddetti oggetti transizionali: va bene, però siate pronte a mandare i bambini all'armadietto se vedete che stanno faticando a gestire le proprie emozioni durante la giornata!
Noi esistiamo perché siamo amati, siamo stati amati così tanto da avere un sentimento della nostra esistenza: è questa esperienza che fonda l'identità.
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