mercoledì 15 giugno 2016

figlie e... mamme che lavorano

copioincollo qui un articolo che avevo scritto per "Pillole di zucchero", ma poi è di ieri il post su Facebook di Silvana De Mari, a proposito del ruolo della donna... https://www.facebook.com/silvana.demari.5/posts/1721246031456544 e allora scusa a Pillole ma lo metto qua!

Le mamme che lavorano sono quelle che lavorano fuori casa, ovviamente: perché in casa lavorano gratuitamente, quindi non è un lavoro. Non possono nemmeno dire che sono “volontarie della Caritas – Crocerossa  – mensa dei poveri”, che farebbe più nobile: no,  quello che fanno in casa (e lo fanno, più o meno bene: ma non è richiesta la perfezione) loro lo fanno e basta. Una scrittrice che stimo molto, Paola Belletti, dice che si tratta di “vocazione”, ovvero qualcosa che non rientra nelle logiche di mercato: ma non fatevi ingannare, non vuol dire che non ha valore. E’ che non ha prezzo.
Finito il tono ironico - polemico.
Io sono una mamma che lavora.
Quello che riesco a fare in casa è visto con tenera compassione. Anche quello che faccio fuori casa, a dir la verità: perché il mio contributo economico alla famiglia è derubricato ad “arrotondamenti”.
Ma ho detto che avevo terminato, col tono polemico.
Scusate.
Dicevo: sono una mamma che lavora. Mi piace fare il mio lavoro di pedagogista e psicologa, così come anche il lavoro di casa, dà le sue soddisfazioni. Col tempo, però, ho trovato (ho dovuto trovare) dei compromessi:  sono su misura per me, nemmeno per tutta la mia famiglia, ma va già bene così.
Compromesso numero uno:
se qualcuno vuole fare qualcosa che io ho lasciato indietro nei lavori di casa, NON sarà criticato. Anzi.
Una conseguenza, a caso, di questo compromesso, è che a casa mia si scorgono vagabondare, con aria smarrita, alcuni ninnoli dell’albero dello scorso Natale, ma anche della Pasqua di qualche anno fa. Il lavoretto della quinta primaria di Francesco, è un esempio: un bellissimo ovetto di polistirolo completamente ricoperto di paillettes fissate con spillini piccolissimi.
No comment. 
Ho detto che NON criticherò. 
Ma nemmeno mi si critichi la mia esitazione nel trovare un posto a tutto.
Compromesso numero due:
il lavoro che faccio è quasi totalmente compresso nell’orario scolastico dei figli, oppure nell’orario di sonno e riposo canonici.
Sono arrivata faticosamente a questo risultato dopo che Emma, ancora alla scuola d’infanzia, ha inventato una canzoncina mentre giocava con le bambole, a casa di mia mamma. Quest’ultima me l’ha prontamente registrata e impietosamente fatta ascoltare al mio ritorno, il testo è il seguente:
“Devo lavorare,
non posso farci niente!
Mi dispiace tanto,
ti devo lasciare
sennò non posso lavorare!
E io lo devo ASSOLUTAMENTE FARE!
Sono molto occupata,
devo andare via,
forse giocheremo, dopo in compagnia!”
(La melodia valorizza adeguatamente il testo).
Quando Emma ha visto la mia reazione di annichilimento, si è subito affrettata ad inventarsi una ulteriore strofa: “e ora sono tornata, mangeremo l’insalata, ci daremo una abbracciata…” meno convincente, non trovate anche voi?
Comprenderete, col mio lavoro di pedagogista e psicologa non posso predicare bene e razzolare male: la bambina aveva espresso creativamente una propria frustrazione. Dovevo farmene carico, o non ero più credibile.
Così non tengo più conferenze alla sera, e al pomeriggio vado solo a riunioni di classe o a impegni vari dei figli.

Spesso non vengo capita.
Spero da voi sì!

Piccolo sequel di figlie di mamme che lavorano:
ho registrato la canzoncina di Emma che, per l'occasione, si è degnata di migliorarla ... 

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